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@19 Poeticamente: l’Apocalisse del carbonio

L’Apocalisse rimanda anche alla catastrofe e quindi al rivolgimento dei fondamenti e loro mancanza. Il tavolo e la cesta che reggono il cibo possono rompersi. L’entropia ha a che fare con il mutamento che può causare disordine evocante penuria e angoscia. L’incubo del crollo di ciò che ci sostiene per vivere, per stare e per continuare ad esistere, può riapparire dal profondo del nostro inconscio.

Dagli ultimi decenni esiste un giorno preciso dell’anno dove la Terra e il suo sistema ecologico non trasformano, in modo per noi favorevole, il ciclo del carbonio, perché noi consumiamo più di quanto possa essere assorbito e riprodotto. Come una nave ai tempi di Moby Dick che voleva assurdamente energia, vita e speranza dalle balene, ora noi dipendiamo dalle navi di petrolio. Noi siamo nell’acqua nera. E le altre energie vivono su essa. È una energia in esaurimento che sta preparando la guerra universale per l’accesso all’acqua potabile.

 

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Immagine di Christine Lindstrom – presa QUI

 

La natura vi sarà sempre, ma il problema risiede nel valutare se sarà presente secondo un equilibrio per noi confortevole. La nave crea la città e la terraferma dipende dall’attracco di queste balene di acciaio. Le città sono rifornite da navi che incrociano arterie di tubi che si inoltrano nelle acque. Ora è la grande città di energia che vive presso le navi che ondeggiano tra una sponda e un’altra. Tutto ciò ha più di 150 anni e sta finendo. Anche se noi trovassimo altre fonti di gas, l’amoroso e venefico abbraccio di una futura atmosfera di Venere, richiamerebbe l’Apocalisse.

 

Nella guerra dell’acqua sporca, ma bevibile, può accadere che con i nostri supporti tecnologici noi troveremmo altre fonti e ricicli sostenibili, e riformulare una visione della natura con animali semi liberi e addomesticati per compagnia e cibo da asporto. In Italia, per esempio,0 da secoli non esistono foreste, boschi o luoghi che non siano stati divelti e ripiantati dall’uomo. Ogni ecosistema naturale italiano è finto, nel senso di artefatto, perché è fatto dalla mano dell’uomo, sia nella tecnica, sia nel deflusso delle acque, sia nell’edificare la città e ricordarla nell’arte, nel simbolo e nel gesto. E le città sono fatte di tempo, di produzione e consumo, di alba e di notte, di pioggia e di Sole, e tutto è mantenuto dalle piante con la continua pulsazione della sintesi clorofilliana. Questa signora verde e linfatica che esiste e può esistere prima e senza di noi.

 

Noi come possiamo venire a patti?

 

Qui è il dilemma, e non si tratta più di consumare meno, o di esserne consapevoli alla stregua di redivivi ambientalisti. Ora siamo già nell’Apocalisse: non è più il tempo dei profeti. Siamo già nel processo irreversibile del cambiamento e nell’impossibilità di sostenere un consumo al di sotto del livello massimo di sostenibilità decrescente.

 

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Immagine di Giacomo Costa – presa QUI 

@18 PoeticaMente: il taglio finale

 

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Perseo con la testa della Medusa

Benvenuto Cellini – Ubicata in Piazza della Signoria in Firenze

 

Il taglio della testa in guerra, per una pena inflitta da un sistema giuridico moderno, o per un rituale pagano è un omicidio. È orrendo come tutti gli omicidi, ma con una consapevole volontà di attribuire significati e simboli successivi alla scomparsa del nemico. La testa è un tesoro, perché era il cibo: contiene l’essenza del nemico. Nell’antichità noi credemmo di possedere l’animo, il ricordo, oppure, al contrario, che si fosse sicuri di relegarlo definitivamente nel regno dei morti. In periodi ancora più vicini a noi, le teste mozzate divennero un trofeo, per certificare la potenza dell’assassino che agisce per la giustezza divina, giuridica, regale, politica e morale.

 

Nel periodo dei lumi la ghigliottina ebbe lo scopo di sublimare l’atto orrendo dell’omicidio. Di un omicidio che richiama le paure del maschio arcaico, riferite anche alla castrazione. Il taglio non è dovuto alla autodifesa ed ha una aggravante maggiore per la colpa dell’assassinio: è premeditato. Non si taglia la testa per rabbia, ira o follia. Lo si fa pensando con raziocinio a tutte le implicazioni per incutere terrore, oppure ad ottenere il plauso. Si è nel pieno delle proprie facoltà e se lo si compie in vista di una esposizione ad un pubblico, non vi è alcuna attenuante. Gli stati giuridici nazionali che hanno ancora la pena di morte, organizzano il rito in modo asettico; quasi impersonale. Il boia deve essere anonimo e senza volto e le sue azioni devono essere mediate da macchinari per compiere il gesto definitivo. In altri paesi con l’impiccagione o la fucilazione vi è un rituale tra il pubblico, l’autorità, il “colpevole” e il macchinario che uccide. L’esecuzione nella pubblica piazza è un rito sacrificale che stabilisce un equilibro tra la colpa e la pena. Il rito vuole coprire l’orrore della morte.

 

In questi mesi, l’ISIS – Jamāʿat al-Tawḥīd wa al-Jihād – (Stato Islamico della Siria ) ha ribaltato il processo di astrazione tra la morte e il taglio della testa. Vi è un contatto tra l’assassino e la vittima, affinché questa sia annichilita nel silenzio. Non a caso sono uccisi i giornalisti: coloro che vedono e parlano. L’ISIS vuole l’annichilimento e vuole instillare la paura attraverso i mezzi di comunicazione di massa: una strategia pubblicitaria da marketing occidentale. Sono stati qualificati come barbari, pazzi, di altre culture geneticamente malvagie. Loro sono i cattivi. Altri ancora dicono che loro sono i nostri prodotti, e la colpa è nostra. In ogni caso, la vittima è dimenticata. Al di là delle polemiche politiche e di guerra, l’elemento che desta ancora più timore è che hanno colto nel segno, se nei social quando qualcuno pubblica un dipinto di secoli fa che tratta della decapitazione, invece di parlare di arte e anche dell’orrore, e del sublime tragico, molti commentano sull’ISIS.

 

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 “Giuditta e Oloferne” Di Artemisia Gentileschi.

 

Immagine presa QUI

 

La visione dell’orrore e della morte scardina i nostri schemi storici ed estetici, e induce molti, anche coloro che nulla sanno di arte, di credere che Artemisia sia stata una sanguinaria in vita. Invece Artemisia Gentileschi, oltre ad essere una artista immensa ed unica, è stata la generosità in persona in vita. L’arte parla dell’animo umano e oltre alla luce vi è anche l’abisso senza riflesso di luce.

 

Cosa è per noi la morte che taglia, e se non è la morte, perché ci fa più paura un omicidio con una spada, invece che con un mitragliatore che dieci secondi ne può uccidere 20 di esseri umani? L’ISIS non sta utilizzando una paura nuova? Non è punizione divina, non è stato di diritto, non è scontro eorico, forse è una semplice affermazione di potenza sorda.

 

Che ne pensate? Ma la cosa più importante è: cosa provate? Cosa sentite nel vostro animo?

@18PoeticaMente: The final cut

 

Perseus with the head of Medusa.

 

Author: Benvenuto Cellini – Piazza della Signoria in Florence

 

 

 

The cut of the head in war, to a penalty imposed by a modern legal system, or to a pagan ritual, it is a murder. Every murder is horrendous and, in addition, here we see a conscious desire to attribute meanings and symbols after the disappearance of the enemy. The head is a treasure, because it was the food: it contains the essence of the enemy. In ancient times we believed to possess the soul, the memory, or, on the contrary, that we send him definitively in the realm of the dead. In periods even closer to us, the severed heads became a trophy, to certify the power of the killer acting on the justice of God, legal, royal, political and moral.

 

 

During the period of the Enlightenment the guillotine was meant to sublimate the horrendous act of murder. A murder that recalls the fears of the archaic male, who were also referred to castration. The cut is not due to self-defense, and it has a major aggravating for guilt of the murder: it is premeditated. Do not you cut the head out of anger, ire or madness. This is done with common sense thinking about all the implications to strike terror, or to obtain the approval. It is in the midst of his faculties, and if it is fulfilled in view of an exposure to an audience, there is no mitigating factor. The states that still have the death penalty, organize the ritual aseptically; it is almost impersonal. The Executioner must be anonymous and faceless, and his actions must be mediated by machines to make the final gesture. In other countries with the hanging or the firing squad, there is a ritual among the public, the authorities, the “guilty” and the machinery that kills. The execution in the public square is a sacrificial rite that establishes a balance between the guilt and penalty. The rite want to cover the horror of death.

 

 

In recent months, ISIS – Jama’at al-Tawhid wa al-Jihad – (Islamic State of Syria) has reversed the process of abstraction between death and beheaded. There is a contact between the victim and murderess, so this is annihilated in silence. Not by chance are killed journalists: those who see and speak. The ISIS wants the annihilation and he wants to instill fear through the means of mass communication: an advertising strategy from western marketing. They were described as barbarians, or crazy, or of other cultures genetically evil. They are the bad guys. Still others say that they are our main products, and the fault is ours. In each case, the victim is forgotten. Beyond the political controversy and war, the element that arouses even more concern is that they have missed the mark, though when someone posts a picture of centuries ago that is the beheading, instead of talking about art and also the horror, the sublime and tragic, many commented on the exploits of this ISIS.

 

 

“Judith and Holofernes” Of Artemisia Gentileschi.

 

The Imagine is taken HERE

The vision of horror and death disrupts our patterns historical and aesthetic. Some people, even those who know nothing of art, they believe that Artemisia was a bloody life. Instead Artemisia Gentileschi, in addition to being a great artist, was generosity personified in life. The art speaks of the human soul and in addition to light, there is also the abyss without light.

 

The death of that cuts is more frightening than a murder with a gun that in ten seconds can kill 20 humans. The ISIS is using a new fear. It is not God’s punishment, there is no rule of law, there is no clash eorico, maybe it’s a simple statement of power deaf.

 

What do you think? But the most important thing is: do you feel? What do you hear in your mind?

*16 Special Guest: Pane e scrittura. La somma è più delle parti – seconda edizione

27 maggio 2014 

Sabato 24 maggio 2014
 a Roma – “Cripta di Santa Lucia del Gonfalone” in via dei Banchi Vecchi 12, si è tenuta la presentazione della seconda edizione del Libro “Parole di Pane” un progetto antologico di racconti sul cibo, promosso dalle scrittrici Diana Sganappa e Emma Saponaro. I partecipanti, tra i quali il sottoscritto, hanno presentato un solo racconto, edito o inedito, avente l’unione come principio fondamentale di questo progetto, perché in cucina gli ingredienti si fondono, e il piacere sta proprio lì: quando in un sol boccone tutti i sapori si uniscono., come per le parole: un universo in cui tutti possano entrare. In una sola parola: condivisione. E il ricavato delle vendite sarà devoluto all’Associazione Familiari e Sostenitori Sofferenti psichici della Tuscia (A.fe.SO.psi.T), perché le Parole di Pane non sono “parole vuote”
ma un libro per chi non ha voce.

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… e il Progetto continua…

E ancora una volta l’incontro di ognuno con cui si era interloquito solo per via telematica, oltre ad essere stato commovente ed esaltante, ha offerto l’opportunità di mettere a nudo per pochi attimi alcune parti di sé per un ampliamento ulteriore sui diversi approcci e stili nello scrivere.

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E come per l’edizione dello scorso anno è apparsa la meraviglia di gioire di ognuno: scrittori già in opera, neofiti e professionisti per attività collaterali a quelle dello scrivere. Tutti assieme nell’offrire una scrittura corale.

#20 Contaminazioni: La compassione lirica: una fonte poetica per il comando che cura e mantiene

6 marzo 2014  

Colui che comanda e che ha posizioni di responsabilità, prima di tutto, non dovrebbe esprimere la compassione? E l’empatia non solo per la rivendicazione di conflitti ma anche per coloro che sono più deboli e muti?

All’uopo prendo spunto dal brano “IL Presidente” del disco a 33 giri Celi Fabio e Gli Infermieri – Follia. 

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Fu scritto nel 1969, e pubblicato nel 1973. Anticipa di due anni il rock progressivo ed è già proiettato nel decennio successivo. Rock costruito sulla base di due tastiere e sulla voce di Fabio Celi (alias Antonio Cavallaro). Vi sono anche basi di musica classica contemperate alla dolcezza della voce e delle melodie italiche, simile ad alcuni lavori del Banco del Mutuo Soccorso.

Nel 1973 quando uscì per Studio 7, il disco che contiene sei brani, venne immediatamente bandito dalla RAI, limitandone la distribuzione a livello regionale.

Oggi nel 2014 i capi, i leader, i presidenti italiani e stranieri parlano in modo dichiarativo e pieno di intenti chiari, con una razionalità di bambino nella fase anale che vuole estirpare il male, o popoli da una nazione all’altra, o piccoli leader che vogliono espellere, rottamare ed evacuare persone, idee, parole. O ancora novelli cavalieri che stendono il fuoco purificatore del plauso, per azzerare il vecchio putrido e marcio, che è sempre altro e fuori dalla propria storia e dal proprio ambiente dal quale sono nati e cresciuti.

E parlano promettendo l’avvento della nuova era sempre lontana, attraverso il loro entusiasmo, gesto, capacità. E tutto questo è bello e nobile, ma è sempre il “proprio”, perché parlano di “loro”.

Chi comanda avrebbe l’onere e la facoltà di gestire risorse e mezzi per il bene comune. Dovrebbe ascoltare gli ovvi conflittuali punti di vista, conservando tutto, nonostante il mutamento delle condizioni di sopravvivenza per garantire le possibilità di esistenza dignitosa.

Tutto ciò non è ovvio, almeno negli ultimi secoli?

Il leader e il Presidente non dovrebbero parlare anche e nonostante i loro limiti? Non dovrebbero mostrare una compassione e attenzione da parte delle forze che lo sostengono? Un senso che è proprio del suo corpo e non in modo sacrale e carismatico, ma nel senso poetico: di colui che assorbe e lo riverbera. Di colui che come il poeta lo amplifica anche attraverso limiti e debolezza.

Il senso lirico nella traduzione poetica del mondo non è forse la matrice del sovrappiù di quello che potremmo essere ?

Propongo un brano di questo lp, dal Titolo il “Presidente” e propongo il testo ( di una modernità futura e di una dolcezza forse ancora non recepita del tutto ):

È da poco tempo, che io siedo qui
massima vetta della società
E vorrei ascoltare, la parola di chi
Mi chiede pane, lavoro, e libertà.

Ma non è che non voglio, è che non posso
mantenere ora, ciò che promisi.

No, non fate quei visi.
Vorrei dir di si, a ciò che domandate
aiutare te, aiutare tutti voi
purtroppo non sono quello che voi credete
io qui sono tutto, ma non sono nessuno,
che posso farci, se mi hanno detto così
non fare un passo, non ti muovere di qui
che posso farci, se mi hanno detto di più
“ricordati, che chi comanda non sei tu”.

Che stupido sono, ho creduto
di avere tutto, niente ho avuto
prima di me, ognuno s’è venduto
ha messo all’asta la sua patria
la sua terra, la sua famiglia.

Per sentire il brano premi QUI

@17 PoeticaMente: l’offerta di un bacio non imposto: la poesia

2 marzo 2014 

Questo quadro è uno dei pochi di Henri de Toulouse-Lautrec (Albi, 24 novembre 1864 – Saint-André-du-Bois, 9 settembre 1901) dove i personaggi si fronteggiano in avanti l’un l’altro.

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Nonostante tutto mantengono il pudore degli occhi chiusi. Nei quadri di Lautrec, di solito, ogni personaggio guarda verso se stesso nel momento in cui balla, cammina, o pratica abluzioni. Ogni corpo è solo. Questo quadro è uno dei pochi se non l’unico, dove i due soggetti sono faccia a faccia, ma hanno occhi chiusi. Ognuno nella tensione del bacio, di questo bacio che inizia a congiungere le labbra, non offre la composizione di due corpi avvolti, ma di un vicendevole richiamo, come se ognuno dei due, guardando e sentendo il proprio stato emotivo voglia condividerlo con l’altro. È un bacio che è prima di tutto un incontro. È un incontro discreto: una offerta.

I due corpi si tengono, ma non si afferrano. Le braccia sono disposte sulle spalle per ottenere una prospettiva di allineamento dei due volti e delle due bocche. La linea del bacio è una relazione che tiene il quadro. Il letto affossato crea la profondità: riceve un equilibrio da questi due corpi allineati dalla riga del bacio che non taglia, ma contiene tutto il soggetto. L’asse rivela una trama che parte dalle bocche e con centri concentrici si espande dalle spalle alle mani fino alla base del quadro che sottende la continuità dei due corpi, fino ai piedi. Una linea e un punto che costituiscono l’epicentro di una relazione duale sincrona verso due sentimenti di attrazione.

I tratti delicati, nonostante le pieghe e i rivolgimenti degli equilibri solitari, sono offerti tramite tratti verticali, quasi come se noi li vedessimo in un sogno, o in un ricordo. I corpi non vogliono essere eccedenti. Non urlano o esigono attenzione: sono presenti e pronti a rivelarsi per chi alza e mantiene lo sguardo. E parlano se chi guarda è disposto ad ascoltare i tratti cromatici nel sentire il timbro delle forme evocate dal quadro.

La poesia è anche questo: un bacio pudico e pronto a straripare. Un saluto che è disposto a costituire un abbraccio panoramico dei sentimenti, delle gioie e dolori, delle speranze e certezze, melanconia e disperazione. E tutte le contiene senza imporle, anche quando si pone come irriverente poesia di rivendicazione. Se vuole tradursi nel poetico, ogni frase ha il vestito del pudore e dopo se è accettata, si spoglia immediatamente offrendo tutto di colui che parla e che la evoca.

Toulouse Lautrec in questo quadro svela un timbro interiore: un suo personale ed intimo desiderio mai del tutto evocato nella sua vita.

*15 Special Guest: Tutto sotto controllo: la solitudine

4 febbraio 2014 

Ciao,

eccomi qui. Dal mio ebook “Tutto sotto controllo. Un corpo allo specchio” trascrivo un passo che tratta della solitudine e dell’isolamento: tratti comuni e ineliminabili del nostro vivere. Ci accompagnano e talvolta litighiamo con loro, sebbene in alcuni casi li ricerchiamo come nido sicuro o come illusione di eterna regolarità. Vi sono state occasioni proficue di cambiamento affrontando la solitudine voluta o l’isolamento coatto? È accaduto nel vostro vivere? O sotto sotto sperate che sia stato così? Oppure ancora la solitudine è un sentiero finale che porta al silenzio senza memoria?

“[…] E in più, che diamine, l’adolescenza è finita. No: lo specchio dice che sei ancora giovane, ma vi è la consapevolezza che occorre distinguere tra isolamento e solitudine. La solitudine non è un male. Vi è sempre una parte che è destinata a non apparire agli altri? Eppure tutti ne sono convinti. La solitudine aiuta a rendere distante una parte di sé rispetto al divenire, all’apparire delle cose. È l’illusione di un aiuto per riflettere con sé. Apprendo nuove parole: se l’io diventa ipertrofico, allora è malato. È l’Io piccolo che vuole vedere tutto: follia e dolore. Incoerente per le pretese e incompleto perché è nel mondo. La solitudine aiuta a predisporre risorse per sopravvivere tra la natura nascosta e il mondo immaginato. Mondo e natura evocano timbri differenti per chiunque: un concerto incredibile da ognuno e per ognuno.

Un altro discorso è l’isolamento come stato e necessità, sapendo che le relazioni sociali alimentano malessere e disagio interiore. La solitudine accetta anche la compagnia. L’isolamento con buona volontà si risolve. La malattia se è persistente, ineducata e scostumata perché non chiede il permesso, induce ognuno a isolarsi: vergogna, impotenza e stanchezza. […]”

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Aleksandr Rodchenko, Ritratto di Med Georgi-Petrusov

Il libro in formato digitale (epub), lo si può reperire su:

Ultimabooks: QUI

Bookrepublic: QUI

ebook.it : QUI

ebookizzati.it: QUI

Amazon: QUI – in formato kindle..

*14 Special Guest: Tutto sotto controllo. Un corpo allo specchio

15 gennaio 2014 

Ciao,

eccomi qui. Da tempo cari amici non ci siamo sentiti. È stato un periodo intenso di lettura, scambio di opinioni ed esperienze con tutti, lettori compresi, e di lavori in corso. Uno tra questi è terminato ed è, a differenza dei testi poetici, il mio primo racconto presentato in forma autonoma, e non come gli altri più brevi assieme a miscellanee di altri autori. Con “Tutto sotto controllo. Un corpo allo specchio” presento un tema sovraesposto nella pubblica opinione quanto superficiale nell’analisi. Cattura attenzione e incuriosisce forse per la caratteristica di apparire come risultato di processi psichici remoti fondamentali e di relazioni sociali pervasive in ogni accadimento del giorno. Risulta, in conseguenza, il paradosso di costituire un fatto personale e strettamente attuale. Doppia censura che afferma la malattia come causa, invece di costituire il sintomo e il segnale di sprofondare negli abissi.

Che cosa accade quando la cultura e la società determinando la scissione tra mente e corpo, sono viste con l’occhio della loro figlia (la tecnica)? Che cosa accade quando la volontà tesa a perseguire obiettivi gestibili e riducibili in termini di efficacia, rivolge le sue armi verso se stessa? E quando ancora l’occhio tronfio e illuso d’onnipotenza, vede l’abbandono e il fallimento già da sempre certificato? Un accadimento insospettato è che proprio la parte separata e creduta più debole, reagisca ed esponga il sovrappiù di ciò che siamo nell’irriducibile esistenza d’ognuno.

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Aleksandr Rodchenko, Ritratto di Med Georgi-Petrusov

Il libro in formato digitale (epub), di facile lettura con un programma universale di archiviazione gratuito come Calibre (scaricabile QUI )
lo si può reperire su

Ultimabooks: QUI

Bookrepublic: QUI

ebook.it : QUI

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*13 Special Guest: Domenica 22, No Farhenheit 451: I bei libri si regalano, NON si bruciano

21 dicembre 2013 

Cari amici segnalo un evento cui io stesso parteciperò:

I bei libri si regalano, NON si bruciano. Gli scrittori incontrano i lettori, in piazza, per regalare i propri libri. Un gesto importante, una presa di coscienza affinché la cultura sia divulgata e mai più oppressa.
A Natale Regalati Un Libro. E se questo libro te lo regala direttamente il suo autore? Alle ore 16.00, a Piazza del Popolo (Roma), il 22 Dicembre regaleremo i nostri libri ai passanti.

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Tutti gli scrittori si recheranno a Piazza del Popolo (compreso il sottoscritto) alle ore 15.50. Ognuno indosserà un berretto o una sciarpa o un foulard o bandana di colore rosso. E ognuno offrirà 10 o 20 libri SCRITTI DA LORO stessi, foderati di carta bianca con sopra scritto (a mano, col pc, col pennarello) SOLO il titolo del libro e il nome dell’autore. All’interno dei libri vi sarà un segnalibro o cartolina o biglietto da visita o dedica con firma.
Alle ore 16.00 si distribuiranno i libri e si distribuiranno ai passanti, chiedendo loro di regalarli dopo averli letti e di lasciare un commento sui nostri siti/blog/pagine riportati all’interno.

La gradevole meraviglia di poter dire “grazie”

15 dicembre 2013 

La meraviglia accompagnata alla riconoscenza è sempre una sorpresa. Talvolta immaginiamo noi stessi con i nostri cari, vicini o persone della fantasia pregustando storie cui vivere un’esistenza più intensa. Quante volte abbiamo immaginato di rivivere gesta mitiche di eroi e di personaggi storici per riadattarle ai nostri desideri, ed esserne lieti prefigurando un futuro ancora da venire e forse impossibile da realizzare. E si vuole l’originalità attingendo a ciò che d’interessante appare, confidando di un pubblico immaginario. E quando poi accade veramente, lo stupore si accasa subito con desideri concepiti e mai confessati.

Da lungo tempo le opere di Samanta Lai gravitavano verso la mia sensibilità sia per una visione ludica sia per la tensione a far scaturire un vero e proprio senso poetico. Due delle sue opere divennero parte integrante di due mie poesie per il libro “Reciproche Rinascite”.

In seguito con fare inaspettato, veramente non immaginato, Samanta mi inviò in dono una sua opera originale.

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La commozione e la sorpresa ancora presenti invitano a una condivisa felicità per chi ne abbia interesse, perché il quadro raffigura un’attrice che ammiro per il suo impegno civile e per le sue capacità interpretative. Vanessa Redgrave è sempre stata un mio idolo, perché attraverso il suo lavoro di attrice ha svolto attività politica e di rivendicazione di piena cittadinanza per tutti, interpretando film aventi temi di diritti civili e politici. In particolare ricordo un film sulla prigionia nei campi di concentramento con Lei contrassegnata da colori blu e grigi progressivamente tendenti al nero, dove con fatica cercando di far sopravvivere le sue compagne, mantiene fino alla fine la propria umanità. Questo volto stanco velato dal bianco e dal grigio chiaro e anemico di toni, ha sguardi formati da un paesaggio lunare azzurrino di ferro e un blu di estraniazione composto da un firmamento duro e spietato.

Nonostante tutto il viso sfiancato dall’indigenza e sofferente per il dolore ricevuto, sostiene la volontà di uno sguardo compassionevole vero l’umanità d’ognuno. E la smorfia si tramuta in un sorriso.

E quindi: grazie Samanta.