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@21 POETICAMENTE: ANNIVERSARIO DI UN CORPO ALLO SPECCHIO

Un colloquio in corso. Anniversario di “Tutto sotto controllo. Un corpo allo specchio.

 

È passato un anno dalla pubblicazione dello scritto in formato digitale di “Tutto sotto controllo. Un corpo allo specchio”. Un’opera, per quanto eccelsa o di medio livello, o di semplice rendiconto del proprio scrivere, se è tale, sia per l’autore sia per lo spazio di comunicazione formale che la recepisce, acquista o dovrebbe acquistare vita propria, affinché accompagni il lettore e lo scrittore in un cammino ancora da esplorare.

 

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Con riferimento al “pubblico” potenziale che immaginai in un lasso di tempo annuale, e quindi non di tante cifre, ancor più per il fatto che i miei due scritti precedenti sono di poesie, questo scritto in prosa, solitario e in sottotraccia, ha proseguito con una costanza da maratoneta a incontrare sempre nuovi lettori ogni mese.

Poiché il costo è poco più di un euro, segue che è stato preso principalmente per assonanza, stimolo e curiosità rispetto al titolo e ai pochi cenni sul contenuto. A prima vista sembra che si parli di anoressia come sintomo di un malessere noto a tutti, ma già dalle prime righe si avverte che la “disfunzione alimentare” è sintomo di processi che sono sì unici e irripetibili per ognuno di noi, e che hanno, comunque, un riferimento comune con processi sociali di lungo periodo.

Il corpo già anticamente inteso come un prodotto di una tecnica, seppure per riferimenti ultramondani, è ora iscritto nei criteri laici di “miglior gestione delle proprie risorse” in un orizzonte per il quale “il fare”, “l’agire in vista di un obiettivo definito” e la gestione “domestica” della propria sussistenza, sono elementi già separati e completamente a disposizione. Si è, dunque, sicuri nel disporre del proprio corpo e di utilizzarlo in schemi temporali già prefigurati, secondo azioni ben definite e sicure in una progressione alla stregua dei viandanti verso le reliquie dell’attestato e del diploma, o per la prestazione sessuale e conviviale, con emozioni e sentimenti ben incasellati nella procedura di un soddisfacimento seriale e sfumato.

 

Tutto deve essere sotto controllo, perché voluto come se fosse già un elemento essenziale ed originario, e non un obiettivo cui tendere. Abbiamo una fede verso una semplificazione del mondo con una doppia inversione di mezzi e scopi, dove il controllo è a un tempo un elemento del corpo che deve essere prodotto e nell’altro un insieme di comportamenti e di visioni del mondo, atte a modificarlo. È un corto circuito.Uno specchio che si vuole falso, e che si vuole dica il falso: “Questa cosa piccola che vedi è l’intera realtà”.

 

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Tina Modotti, mani che lavorano.

Il problema sopraggiunge quando il corpo stesso, la parte ritenuta più semplice, scomposta e debole, si ribella e lo fa attraverso la stessa visione violenta e illimitata che si vuole creare. Lo sfondo e la materia disponibile, quasi disprezzata, oltre a essere la fonte di ciò che si è, offre altre possibilità di esistenza.

Quasi ogni lettore del testo ha dapprima avviato un colloquio attraverso il sito www.linomilita.com, e ognuno discretamente ancor prima di leggere, ha richiesto chiarimenti su tali termini, e successivamente quasi più della metà fino ad ora, è ritornato a scrivermi associando loro esperienze, rispetto al percorso offerto dal testo. Parole ed esperienze uniche e irripetibili per ciascuno, ma dalle quali appare che “noi”, la “nostra” immagine, il “nostro” corpo hanno un sovrappiù indefinito ancora da esser detto, visto ed esperito. E questo “ancora” è illimitato. E che ogni volontà di renderlo statico e uniforme, cozza contro se stessa. Il colloquio è ancora in corso.

 

Il libro in formato digitale (epub), lo si può reperire su:

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*15 Special Guest: Tutto sotto controllo: la solitudine

4 febbraio 2014 

Ciao,

eccomi qui. Dal mio ebook “Tutto sotto controllo. Un corpo allo specchio” trascrivo un passo che tratta della solitudine e dell’isolamento: tratti comuni e ineliminabili del nostro vivere. Ci accompagnano e talvolta litighiamo con loro, sebbene in alcuni casi li ricerchiamo come nido sicuro o come illusione di eterna regolarità. Vi sono state occasioni proficue di cambiamento affrontando la solitudine voluta o l’isolamento coatto? È accaduto nel vostro vivere? O sotto sotto sperate che sia stato così? Oppure ancora la solitudine è un sentiero finale che porta al silenzio senza memoria?

“[…] E in più, che diamine, l’adolescenza è finita. No: lo specchio dice che sei ancora giovane, ma vi è la consapevolezza che occorre distinguere tra isolamento e solitudine. La solitudine non è un male. Vi è sempre una parte che è destinata a non apparire agli altri? Eppure tutti ne sono convinti. La solitudine aiuta a rendere distante una parte di sé rispetto al divenire, all’apparire delle cose. È l’illusione di un aiuto per riflettere con sé. Apprendo nuove parole: se l’io diventa ipertrofico, allora è malato. È l’Io piccolo che vuole vedere tutto: follia e dolore. Incoerente per le pretese e incompleto perché è nel mondo. La solitudine aiuta a predisporre risorse per sopravvivere tra la natura nascosta e il mondo immaginato. Mondo e natura evocano timbri differenti per chiunque: un concerto incredibile da ognuno e per ognuno.

Un altro discorso è l’isolamento come stato e necessità, sapendo che le relazioni sociali alimentano malessere e disagio interiore. La solitudine accetta anche la compagnia. L’isolamento con buona volontà si risolve. La malattia se è persistente, ineducata e scostumata perché non chiede il permesso, induce ognuno a isolarsi: vergogna, impotenza e stanchezza. […]”

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Aleksandr Rodchenko, Ritratto di Med Georgi-Petrusov

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*14 Special Guest: Tutto sotto controllo. Un corpo allo specchio

15 gennaio 2014 

Ciao,

eccomi qui. Da tempo cari amici non ci siamo sentiti. È stato un periodo intenso di lettura, scambio di opinioni ed esperienze con tutti, lettori compresi, e di lavori in corso. Uno tra questi è terminato ed è, a differenza dei testi poetici, il mio primo racconto presentato in forma autonoma, e non come gli altri più brevi assieme a miscellanee di altri autori. Con “Tutto sotto controllo. Un corpo allo specchio” presento un tema sovraesposto nella pubblica opinione quanto superficiale nell’analisi. Cattura attenzione e incuriosisce forse per la caratteristica di apparire come risultato di processi psichici remoti fondamentali e di relazioni sociali pervasive in ogni accadimento del giorno. Risulta, in conseguenza, il paradosso di costituire un fatto personale e strettamente attuale. Doppia censura che afferma la malattia come causa, invece di costituire il sintomo e il segnale di sprofondare negli abissi.

Che cosa accade quando la cultura e la società determinando la scissione tra mente e corpo, sono viste con l’occhio della loro figlia (la tecnica)? Che cosa accade quando la volontà tesa a perseguire obiettivi gestibili e riducibili in termini di efficacia, rivolge le sue armi verso se stessa? E quando ancora l’occhio tronfio e illuso d’onnipotenza, vede l’abbandono e il fallimento già da sempre certificato? Un accadimento insospettato è che proprio la parte separata e creduta più debole, reagisca ed esponga il sovrappiù di ciò che siamo nell’irriducibile esistenza d’ognuno.

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Aleksandr Rodchenko, Ritratto di Med Georgi-Petrusov

Il libro in formato digitale (epub), di facile lettura con un programma universale di archiviazione gratuito come Calibre (scaricabile QUI )
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@14 PoeticaMente: maschi davanti allo specchio

6 maggio 2013  

Sembra banale e noioso ripeterlo. Alcuni di questi omicidi sono già annunciati prima del loro triste compimento e accompagnati successivamente da giustificazioni che imputano la causa a squilibrati o ad emarginati.

E invece l’uomo nero è il parente o l’amico fidato. L’ipocrisia parla di amore e gelosia e traspone il tutto in una incapacità biologica a trattenersi da parte del maschio. Di sicuro è il corpo della donna che continua ad essere violato dopo la morte nelle immagini, nelle procedure giuridiche e nella ricostruzione degli eventi.

E si dice emergenza. Ma non è un fenomeno di oggi questo assassinio con la volontà manifesta di annichilire un essere vivente, ritenuto inferiore come un mero oggetto a disposizione.

Questi tragici eventi sono narrati con sgomento e paralisi, e si concludono con una generica esortazione alla comprensione e al contrasto del “fenomeno”.

I maschi rifiutano la questione e la rivoltano verso le vittime: si eclissano.

Ora, senza richiamare buon senso, onestà intellettuale, principi fondamentali di etica e del diritto, è sufficiente per i maschi ascoltare il proprio corpo.

Pensiamoci, maschi latitanti, riversi a terra, svestiti, con sangue e urina e faccia macilenta davanti a tutti, magari vicini di casa che si grattano la testa, il sedere e il naso e si scambiano frasi fatte nel guardarci per terra, con l’immancabile idiota che si colloca vicino alla telecamere di qualche giornalista. Pensate solo fisicamente al freddo, alla puzza nel vostro corpo. Solo questo.

E ovviamente tutti guardano con morbosità la vittima (per strada, nei giornali, nella tv) senza pensare all’omicida. Dove è l’assassino? È il marito? Il padre? Il fratello? La vittima davanti al pubblico senza compassione.

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Jakub Schikaneder, “Omicidio in casa”
– Immagine presa QUI

Perché la sicurezza non è ovunque: acqua, sole sfumato, spiaggia e mare, sono già un pericolo. E questa è la bugia: colei che genera vita è offesa dal complemento di generazione maschile che si crede principio unico e indefettibile.

Si è soli: pensate maschi a chiedere invano aiuto a parenti, amici e alle autorità giudiziarie. Immaginate di camminare per le strade e vedere tutti felici o irritati per i problemi di ogni giorno e sentirvi marchiati e passibili di essere presi e maciullati in ogni momento davanti a sguardi indifferenti. Sentitelo nello stomaco questo orrore. Sentitela nelle vene la consapevolezza di essere massacrati a breve, dove anche il pianto verrà punito.

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Jakub Schikaneder – Immagine presa QUI

Vi prudono le mani? Sentite la rabbia dentro che cresce vero? Ecco moltiplicate questa sensazione per mille dentro lo stomaco, sapendo di non poter fare nulla e che tutto questo vi esploderà dentro. Rimanendo come tronchi martoriati senza memoria in una spiaggia sporca e desolata. 

L’ombrello rosso con tratti così delineati, rispetto alle forme quasi liquefatte, raccoglie il calore del cuore e dell’animo e lo riflette verso l’ambiente circostante. Questa pioggia non ristora: affligge lentamente nella normalità come una inevitabile costrizione. Il corpo della donna e il suo cammino sono imposti da piogge che tagliano e non leniscono, come lacrime di acido. In un Sole finto e oscurato di prescrizioni culturali e di potere, spacciate come naturali ed eterne.

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Andre Kohn – Immagine presa QUI

Cari maschi pensiamo alla normalità di ogni giorno, fatta di grigio e oppressione, come il semplice camminare e il vestito imposto. Basta pensare solo a questo.  

*4 Special Guest: La poesia: l’immediato originario

7 marzo 2013 

Nei linguaggi e nelle tecniche moderne appare la supposta evidenza nel comporre femmina e maschio nella scissione di cuore e cervello, in un quadrilatero dove ogni elemento è inteso separato e successivamente giustapposto mediante sensi ed intelletto.

E ancor di più per l’inclinazione di un “artista” o di un “matematico”

Crediamo di ragionare e discernere con pezzi di carne appesi in macelleria.

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Immagine di Giacomo Sonaglia 

 

Eppure l’atto del poetare, ancor prima di scrivere, è tale perché esprime ciò che il corpo sente ed emana verso tutto ciò che è reale. Ma lo esprime utilizzando la contemplazione del sublime di ogni aspetto del reale, che è visto come atto universale. In una poesia ogni rima o verso, per quanto elaborati o “astratti” sono immediate composizioni con ciò che il corpo esprime verso il tempo, la nascita, la morte, i sensi d’amore e d’odio.

Quadrifoglio di stelle migranti (poesia tratta da “Sogni Sospesi”)

Ovunque osservo ossequioso e ansioso
i quattro quadri dell’orizzonte spazioso,
c’offrono l’oceano da suolo smussato
di fiamme ch’ergono l’aere eccitato.

L’aerea messaggera dona la gialla
d’autunno inseguita, severa, dalla
vernosa ombra dell’affogliato cumulo
che incrocia il quadrifogliato angolo.

Ma riavere smeraldee presenze
ch’erompono da primavere essenze
ripropongono l’estatico disgelo
delle stelle del rigoglioso stelo

Ogni trivio è un ombroso quadrivio
che rinnega l’ascoso sodalizio.
Ma le migranti di cuori celesti
Riportano gli sfolgoranti innesti.

 

#1 Contaminazioni: Danze tra suoni muti

18 gennaio 2013

Rachmaninov – Danze Sinfoniche – Op. 45 – 1/5

Le danze sinfoniche di Rachmaninoff possono essere musicate anche con un pianoforte. Hanno una struttura che per le nostre orecchie, possono essere intese in modo astratto, immaginando toni e timbri nella percussione (cuore), nel fiato (polmone) e nel tasto (scheletro).

E proprio perché mantengono una distanza dalla parola, dallo specifico rumore di fondo di uno strumento, noi, come nell’atto del poetare, attraverso il linguaggio, il nostro corpo e le reciproche sensazioni che elaboriamo in emozioni, possiamo rendere carne e sangue il tutto, in un sentire comune.

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Immagine presa da QUI

E si danzi allora tra questi schemi.

E si parta dalla prima danza: Non allegro: l’inciso discendente di tre note, che costituisce la base del movimento, si fa strada nel pianissimo dei violini, e poi si afferma con aggressività ritmica. Il suono dell’oboe porta verso la transizione della sezione centrale; il sassofono contralto enuncia il male d’animo; la melodia verrà poi ripresa dagli archi, prima del ritorno alla iniziale sezione che abbiamo chiamato di dinamismo ritmico; e il movimento si spegne come era iniziato.
Svegliamoci sentendo le tre note, il nostro corpo si riassoda e nuota nel gorgo nero che gira su stesso su un avvitamento senza fulcro.

L’urlo è il passaggio al sassofono.

Il tormentoso sospiro richiama gli archi che, come ali di cristallo, si diramano in strutture polimorfiche. E si ricomincia aspettando il movimento successivo, incatenati nel ritmo finale per non disperdere la memoria dell’immagine di sé.
Per ascoltare le Danze Sinfoniche Premere QUI

@1 PoeticaMente: Scrivere poesie

14 gennaio 2013

Come si fa a scrivere una poesia? Sia essa di ottimo stile, pacchiana, stupida, manifestamente sciatta, originale?

Anche se si ha l’erudizione di versificazione, retorica e stilistica, può apparire il blocco. Se si pensa ad un compito, alla pubblicazione, all’esistenza di un pubblico effettivo immediato, il foglio rimarrà bianco. Se si utilizzano riti propiziatori stabili e se si programma il lavoro, il foglio forse rimarrà bianco.

Se si forza la rima, forse appariranno pagine sparse di righe in prosa, e questo non è un male. E allora? Nel preciso atto del comporre che si crede poetico, forse non esiste una regola, ma un criterio operativo (mutevole): lasciar andare il “deve”, affinché le emozioni non siano forzate.

Lasciar andare le analisi per sentire il corpo fisicamente, non ontologicamente, o soggettivamente, nel senso etico o erotico, magari dopo, ma proprio il corpo, qui e ora.

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Maurits Cornelis Escher, Drawing Hands 1948.

Lasciar venire tutto quello che travolge dall’esterno.

Lasciar venir il timore e la paura.

In seguito apparirà il tempo delle riflessioni, analisi e correzioni. Ma non è un investimento, perché non si hanno interesse e garanzie. Il premio è sempre uno: se stessi.