#RACCONTARE LA SCRITTURA. QUARTA PARTE.

Vi sono molti manuali per scrivere un romanzo: dal numero delle battute, dal ritmo di scrittura, dal consiglio dei tempi di pausa e di rilettura, dei tempi di risistemazione dell’intero impianto che via via si costruisce, dall’attenzione verso lo stile. Lessi così tanto nei decenni passati che nel momento di scrivere, invece non badai ad alcuna regola manifesta, generando un flusso, dotato, però, di trame articolate. Fu un indicatore che confermò di aver interiorizzato l’abissale mole di nozioni relative alle tecniche di composizione che mi paralizzò ripetutamente negli anni. La fretta fu il primo nemico. Anche scrivendo con frenesia, dovevo dimenticare l’orologio e le misure.

Nel mese di gennaio 2018 avevo una quantità di materiale spropositato per qualsiasi romanzo: centinaia e centinaia di pagine. Non volli contarle, avendole suddivise per settimane scrivendole con caratteri <Times New Roman> da 12, quindi molto più piccoli di una pagina standard di un romanzo. Avevo oltrepassato vistosamente il migliaio di pagine e con quello che mi mancava ancora e ripensando agli appunti degli anni precedenti, mi rifiutai di praticare qualsiasi somma parziale. Mi fermai, perché vidi che anche correlando alcuni argomenti con gli appunti degli anni precedenti, avrei offerto un’enciclopedia. L’elemento positivo emerse dalla consapevolezza d’aver creato un mondo: l’orizzonte degli eventi fu delineato.

Ricominciai a immaginare i luoghi dove i protagonisti in modo verosimile potessero agire e dialogare, oltre quelli che avevo introdotto all’inizio del mese di settembre 2017. Rividi il testo non indulgendo in pigre o mirabolanti soluzioni di svendita. Tali pretese solitamente si riducono in basse seduzioni per l’eventuale pubblico, ammiccando ad esso, nell’offerta di testi banali: vuoti di senso e di empatia. Dovevo seguire una linea coerente, dotata di livelli semantici paralleli che fossero letti con leggerezza, avendo nel contempo più chiavi sotterranee di lettura. Tutto doveva esser mostrato in modo indiretto, ma coerente e quindi con un tratto non episodico, mantenendo segni ancor più profondi con l’intelaiatura del libro. Di schemi già ne avevo troppi: dovevano soltanto esser richiamati nello <scriver facendo>.

Ricominciai daccapo nel mese di febbraio 2018, riprendendo le prime pagine. Mi dedicai a nuove recite solitarie dentro casa, parlando con i primi protagonisti delle pagine iniziali, chiedendo se i nomi fossero congruenti alla loro personalità e se il loro corpo fosse stato descritto in modo adeguato. Interrogai anche i luoghi descritti ristudiando atlanti, mappe, libri di storia online e di carta, valutando il clima, l’orografia, i luoghi urbani e non urbani. Recitai intavolando dibattiti anche con i loro tic e con i loro idiomi. E con le imprese di febbraio 2018, riscritte in una nuova cartella, sovrapponendo le nuove date di revisione, a casa non mi è venne a trovare più nessuno, essendo tutti molto preoccupati delle mie condizioni psicofisiche!

Cambiai alcuni nomi ai personaggi e attraverso il mio corpo, riflettei le loro movenze e qui l’attività del poeta mi aiutò nel manifestare fisicamente le loro forme. La scelta di alcuni tratti morfologici, comunque, non fu a caso, perché derivarono dai rispettivi luoghi di provenienza. Notai che alcune fasi erano monche, quindi nel testo aggiunsi richiami tra parentesi quadre che, come i messaggi in bottiglia, avrebbero dovuto indicare l’intento di sviluppi ulteriori, l’impegno a istituire nuove correlazioni con altre parti dello scritto e il compito di approfondire gli argomenti ritenuti imprecisi. Altre annotazioni valutarono parti del testo eccessivamente didascaliche, o involute in un linguaggio tecnico, riferito ai temi in oggetto di discussione. Nelle note scrivevo insulti verso me stesso, quando rilevavo frammenti di una prosa versificata. Nella seconda metà di febbraio del 2018 e per tutto il mese di marzo 2018 (inframmezzato da altre attività di scrittura), sviluppai le situazioni intermedie che in precedenza reputai monche. Il risultato fu che altre decine e decine di pagine si sommarono alle precedenti.

Nel mese di aprile 2018 mi bloccai. Scrissi quasi due o tre pagine, con conseguenti crisi depressive, fortunatamente di breve durata, perché compresi che l’inconscio mi stava suggerendo di riapprofondire alcune sezioni ancora non ben connesse con le nuove linee di sviluppo, in particolare con le vicende dei personaggi appena introdotti.

Il primo giorno di maggio 2018 ricominciai a scrivere avventurandomi in sentieri con personaggi non ancora emersi. Li salutai presentandoli, e parallelamente consolidai le schede dei personaggi precedenti, con riferimento ai ruoli, alle caratteristiche fisiche e psichiche, raccogliendo indizi circa gli eventi futuri. Scrissi in una situazione di libera leggerezza, senza preoccuparmi di dover terminare. Nei mesi di maggio, giugno, luglio e agosto 2018, al ritmo medio di una pagina o due al giorno, andai avanti. La trama divenne più densa e controllata. Scandivo i passi. E finalmente i dialoghi tra i personaggi assunsero una quota preponderante.

La qualità di un romanzo risalta principalmente dai dialoghi. Finalmente i personaggi agivano senza mie spiegazioni collaterali da voce narrante. Iniziavo a congedarmi.

Nei mesi di settembre e di ottobre 2018 proseguì avvicinandomi agli eventi finali. Mi fermai, perché mi accorsi di subire la fretta, atteggiandomi a un esecutore che chiude una fredda pratica amministrativa. Non potevo truffare il lettore. No. La fine doveva essere coerente con le ipotesi iniziali, determinando così una trama che mantenesse la tensione e la spinta a continuare a leggere, senza effetti speciali fumosi o stili monotoni. L’intero corpo del testo non era ancora adatto per una pubblicazione: disordinato negli stili, quasi delirante per un lettore ignaro, anzi addirittura traumatico per la mole: un peso fisico da tenere in mano. No. Se si vuole mantenere la tensione nelle fasi di riscrittura, ogni virgola e ogni scena deve essere ponderata come una formula chimica, e non solo seguendo le frasi e la bella sintassi. È necessario impegnarsi a determinare l’insieme delle occorrenze tra le azioni, i personaggi e le parole tra le pagine. Non si deve sedurre o appesantire il lettore, perché il testo deve accogliere integralmente il suo bagaglio di emozioni.

Durante i primi giorni del mese di novembre 2018 non riuscì più a scrivere una virgola, perché mi sentivo scisso nei ruoli dello scrittore, del lettore, dei personaggi e dei luoghi: nuovi livelli di delirio!

Mi reimposi l’unica regola che fissai l’anno prima: “Poni in secondo piano il tuo <io>. Ridiventa un amplificatore delle onde provenienti dall’inconscio. Traile sulla terraferma della scrittura, accogliendole tra le tue mani e rivestile di parole”.

Continuai a scrivere fino ai primi giorni del mese di dicembre 2018 in modo più rifinito. Correlai le situazioni e dialoghi caratterizzando i personaggi senza introdurli, lasciandoli parlare e agire. Le parafrasi, gli intermezzi, le spiegazioni e i miei interventi diretti diminuirono vistosamente. Lo scorrere del testo divenne meno torbido: dai venti tumultuosi dell’inizio, la costanza del ritmo fu data dal freddo vento Grecale che da sud est va a nord ovest. Dall’alba frizzante al lento tramonto.