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§CONSIGLI DI LETTURA: BRIGATE RUSSE. LA GUERRA OCCULTA DEL CREMLINO TRA TROLL E HACKER

Brigate Russe. La guerra occulta del Cremlino tra troll
e hacker di Marta Ottaviani, Ledizioni, Milano,  2022

Questo libro è necessario sia letto, perché è un esempio pratico dell’esercizio dell’onestà intellettuale applicata al codice deontologico di un giornalista, di colui e di colei che democraticamente offre spicchi dell’oceano diveniente del reale, in notizie e fatti tendenzialmente coerenti e ben argomentati, all’interno di uno spirito che rispetta il pubblico in una agorà democratica,

È stato concepito e realizzato dopo anni di studio e di ricerca e pubblicato appena prima della tragedia in corso, dovuta all’invasione dell’esercito russo nel territorio ucraino.

L’autrice Marta Federica Ottaviani si interroga sul suo lavoro, e da questa analisi impietosa offre uno squarcio sul processo di creazione della notizia e del dato, che è il luogo dove identifichiamo le nostre convinzioni e giudizi sul mondo.

La responsabilità attiene a un criterio di testimonianza del proprio lavoro, che è tale perché dignitoso nell’offrire il tempo che scorre, incarnato in eventi, sul quale accostiamo le nostre parole per ricostruire continuamente la nostra biografia.

L’elemento contingente è riferito alla strategia di guerra intrapresa da anni dall’attuale regime russo nel produrre notizie false, giudizi che descrivono il mondo in assetti artefatti, minare e orientare il consenso delle popolazioni estere all’interno delle proprie controversie partitiche, relative alla redistribuzione economica e alla politica estera.

In questo libro si respira aria trasparente e non offuscata da linguaggi sotterranei: mostrare a nudo il proprio operato nello scopo di porsi al servizio del pubblico, e non a considerarlo un oggetto di manipolazione, fino a usarlo indirettamente uno come strumento di guerra.

Non è solo una questione di Menzogne (o volgarmente fake-news). Il giornalista che reperisce le informazioni per produrre le notizie e il pubblico correlato, è sottoposto alla questione delle fonti, che a differenza del passato, non ha il rischio della penuria, quanto una sovrabbondanza illimitata, dove però sotto sotto vi è una ripetizione e un rimando continua da una all’altra. Il giornalista, se ha un’agenda ricca, come scrive Marta Federica Ottaviani, è una buona cosa. Oggi il giornalista ha a disposizione più documenti, gestiti da enti diversi (in teoria), più soggetti giuridici e persone con le quali richiedere le storie, i fatti, i documenti, i testi (cartacei, audiovisivi, digitali) in un’ottica comparativa. La loro massa, però, non è sufficiente a porre un giudizio di verosimiglianza rispetto a ciò che si pubblica.

I soggetti possono produrre notizie false, ridotte, censurate, disposte in modo artefatto. I mezzi di comunicazione di massa, ora, con i nuovi assetti tecnologici, oltre a moltiplicare la quantità sterminata delle note che informano un fatto, producono linguaggi e codici che viaggiano su forme di comunicazione inedite.

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Un altro aspetto, non distaccato, ma concomitante e integrato ai nuovi istituti atti alla produzione del fatto, dell’informazione, e del dato, riguarda la relazione tra essi, che non è più solo di semplice logica “vero-falso”, o di una catena binaria di causa ed effetto. Le dimensioni aumentano, e si incrociano, sicché il fatto sottende strutture informative evidenti e nascoste. La notizia non è più solo veicolo di comunicazione, ma sostanza. È la stessa struttura concreta del mondo dei giudizi che lotta all’interno di valori orientati verso fini e intenti emergenti in modo acefalo, o indotti dai cosiddetti “Stati Profondi” in competizione tra loro, sia all’interno di un organismo statale propriamente detto sia contro altri stati nel senso classico con il quale li intendiamo.

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Attraverso i mestieri di reporter, di ricercatore e di investigatore, Marta Ottaviani offre lenti di ingrandimento e codici di decifrazione di questo oceano in mutamento nell’indefinita moltiplicazione nei suoi effetti. Di più: con le cosiddette “intelligenze artificiali” (locuzione oramai metaforica che indica in questo caso la rete delle strategie manipolative) si hanno applicazioni sconosciute nella loro configurazione e nei loro effetti, da parte dell’opinione pubblica. E anche dal singolo che le realizza. Tutto ciò fa parte delle istituzioni immaginarie del senso che le società da sempre lasciano trasparire. Il punto però è che ora l’immagine è forzata a intesa come <realtà>. Il senso del mondo, dei buoni e dei cattivi, del tempo e della memoria, dura e ha valore solo all’interno di quella notizia, e rimane lì da solo, per lasciare il passo al successivo.

Ogni contingenza, essendo artefatta come totalità, permane esclusivamente per mezzo della violenza portata dal linguaggio assertivo che nasconde volutamente le sue premesse. Non si hanno soluzioni di continuità. Solo strappi di memorie e di giudizi, che vengono sparati come pallottole: è una guerra. È una guerra che dura da anni e che continua.

8-9 “[…] Il testo consta di quattro parti. La prima aiuta a collocare il fenomeno dal punto di vista storico e geopolitico. La seconda è dedicata alla cyberwar degli hacker, inclusi tutti i tentativi fatti per destabilizzare alcuni Paesi, soprattutto gli Stati Uniti. La terza è dedicata ai troll e a come vengono utilizzati i social per manipolare l’opinione pubblica e mettere in difficoltà gli avversari. La quarta, infine, è dedicata alla propaganda di Stato, più o meno esplicita. Un soft power che però, inteso nell’accezione russa, mira a far ritagliare spazi di manovra sempre più alti. Perché, mentre leggevo il materiale da cui è nato questo libro, una cosa l’ho capita subito: la Russia ha un modo di chiamare e interpretare i fenomeni tutto suo, spesso in netto contrasto con quello dell’Occidente. Per questo, il testo è diviso in quattro parti. L’obiettivo è descrivere l’approccio di Mosca alla Guerra del Terzo Millennio nel modo più esaustivo possibile. Si tratta, però, di un sistema di vasi comunicanti, che nella sua azione va avanti in contemporanea […]”

Il libro è dotato di precisa e puntuale bibliografia. Offre l’occasione per interrogarci su noi stessi, sulle sfide che stiamo affrontando ora e per quelle del prossimo futuro. Solo negli ultimi due anni siamo stati manipolati e bombardati da false notizie relative al Covid, ai vaccini, alle cause della pandemia, o all’offerta di teorie “complottiste” che hanno poi in fondo la caratteristica di deresponsabilizzarci e semplificare la realtà, individuandola sempre in un comitato notturno di figuri che ci vuole annichilire. Certamente esistono i nemici o attori che sono direttamente in conflitto contro di noi a livello economico, politico e strategico. Quello che bisogna avere in mente però, è che non è detto che questa guerra sia a capo di un pazzo, o di un mister x nascosto, che voglia annullarci: vi sono più attori, più cause, e i fini non sono univoci e immediati. Inoltre noi stessi possiamo essere uno strumento che paradossalmente va potenziato ed eterodiretto. Il rischio è quello trascorrere una vita a parlare per bocca di altri, inchiodati a pensieri e visioni del mondo monche, deficitarie, pericolose per noi stessi e gli altri.

§CONSIGLI DI LETTURA: IL CICLO DI VITA DEGLI OGGETTI SOFTWARE

Il ciclo di vita degli oggetti software, dI Ted Chiang, (The Lifecycle of Software Objects), 1ª ed., Burton (Michigan), Subterranean Press, 2010, traduzione di Francesco Lato, Odissea Fantascienza, Delos Books, 2011.

È un’opera che vale la pena da leggere, perché ci costringe a riflettere sulle conseguenze delle nostre azioni nel voler disporre degli altri.

Ana Alvarado, dopo aver lavorato come istruttrice in uno zoo, accetta un nuovo incarico presso la Blu Gamma, un’azienda informatica che ha creato avatar denominati “digienti”, per i quali avrà la funzione di loro educatrice, in collaborazione con gli sviluppatori del software, tra cui Derek Brooks.

La ditta concorrente SaruMech sviluppa un robot che consente ai digienti di interagire con i proprietari nel mondo reale. Altre ditte sviluppano ambienti virtuali più sofisticati dove si può giocare in modo più invasivo, sicché i clienti rendono indietro i loro giocattoli. Alcuni proprietari, però, sono entrati in empatia con i propri digienti, e per non farli sospendere (l’equivalente di una eutanasia), si costituiscono in una associazione per reperire fondi e sponsor, utili per sovvenzionare un loro aggiornamento software, tale da permettere una trasmigrazione in ambienti virtuali più avanzati di uso commerciale.

Ana adotta Jan e Derek i due digienti Marco e Polo e per anni, insieme a pochi altri li tengono in attività, e trascorrono molto tempo con loro, come se fossero dei genitori. I digienti sembrano entrare in uno stato simile all’adolescenza. Ana e Derek non si avvedono che stanno traslando la loro personalità sia nel mondo virtuale sia con esperienze nel mondo fisico con i robot collegati ai digienti.

Derek vorrebbe tramutarli in una “corporation”, cioè soggetti giuridici in tutto e per tutto. Ha timore che se lui morisse, vorrebbe che Marco e Polo non fossero sospesi. Nello stesso momento Jax il digiente di Ana, non vuole controllare un avatar a distanza, ma vuole essere lui un avatar, e quindi anche il robot. Soffre di solitudine e vuole che il suo io non sia scisso dal corpo.

Mancano i soldi per mantenerli. La ditta Desiderio Binario contatta Ana per addestrare i digienti superstiti per trasformarli in oggetti sessuali che si adattino ai desideri dei clienti, diventando attraenti, affettuosi e appassionati di sesso. Un’altra possibilità è che Ana lavori per la Polytope mettendosi cerotti di droga per creare un temporaneo legame affettivo con i digienti, al fine di veicolarli nei loro schemi emotivi. Un’altra offerta proviene da alcuni sviluppatori per robot domestici che si occupano di intelligenza artificiale. Però questi ultimi non vogliono creare umani avatar, quanto una intelligenza superumana. Non vogliono dipendenti – corporation, ma prodotti super intelligenti.

Ana è inorridita da tali proposte. Sa che l’esperienza è algoritmicamente incomprimibile e che ogni  digiente merita rispetto.

In questo romanzo vi è un dilemma etico: l’automa che incorpora sapere e comportamenti dettati da prescrizioni morali, ha titolo a porre relazioni sociali giuridicamente autonome con gli umani?

Ana si rende conto di esser diventata una “madre” per Jax. Si chiede se suo “figlio” sia libero di sbagliare e di voler ridursi a oggetto sessuale, sottoponibile anche a tortura.

se sceglie di lavorare nella società Desiderio Binario, il cervello chimicamente alterato sarà quello del digiente. Se lavorerà per la Polytope, il cervello chimicamente alterato sarà il suo.

Marco e Polo, i “figli” di Derek invece non vogliono che Ana scelga di lavorare per la Polytope, e in un certo vorrebbero sacrificarsi, affermando di essere consapevoli di ciò cui vanno incontro. E qui invito alla lettura per la prosecuzione della trama.

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Un processo di apprendimento può comportare la trasformazione del software in qualcosa di altro?

Nel testo si avverte un senso di separatezza da parte dell’autore rispetto ai personaggi e degli umani verso i digienti a parte Ana ed Derek che intendono instaurare un legame empatico, solidaristico, filogenetico, teso ad attribuire la morale e l’etica ad oggetti. Posto che il mondo è gelido e brutto, si vuole che i digienti diventino soggetti umani, tali da essere portatori di diritti e doveri.

Quest’opera sembra denotare una struttura di cicli software interrotti dove si ritorna alla stessa domanda che pone il dilemma. E si cerca di uscire. Si vede che l’autore è anche un programmatore. Poiché i personaggi virtuali tentano di uscire dai loro schemi di azione, la narrativa segue tale spinta. Le azioni sono ridotte a dialoghi. I tempi virtuali e reali risultano giustapposti e compressi. Da questo straniamento stilistico emerge nel modo più crudo il dilemma.

La domanda etica è lo stesso programma che ritorna su se stesso. Un apparente paradosso che mostra il mutamento degli oggetti informatici sia nel mondo virtuale sia nelle loro applicazioni nel mondo dei senzienti.

È un’opera strutturalmente incompiuta, perché il tema è posto al lettore, affinché sia spinto a fornire nuove parole sulla nozione di soggetto nel momento di deliberare su di sé e nel mondo.

Il non detto di tale domanda è il limite che dobbiamo porre nel nostro di agire.

Sembra un libro scritto da un digiente: una costellazione di appunti verso una avventura intellettuale sulla realtà, da parte di un io del corpo che viaggia ed è nei due mondi.

§CONSIGLI DI LETTURA: Trilogia dello Sprawl

Gibson, William. Trilogia dello Sprawl: Neuromante – Giù nel cyberspazio – Monna Lisa cyberpunk (Italian Edition) . MONDADORI. Edizione del Kindle.

Tonnellate di pagine sono state scritte su questa trilogia magnifica che ha avviato un genere, più rigoglioso che mai, fino ad oggi. Si può offrire uno spunto in più, partendo dalle tecnologie di oggi. Lo stile riprende Burroughs, nel tono e nella sintassi violenta, e si frammenta in un gergo digitale. La droga è elemento chimico, strumento, tecnologia, non più pozione. Sotto vi è il mito dell’immortalità per opera di un’alchimia tra scienza, tecnologia, fede.

Il primo volume connota uno stile che continua negli altri due in una inclinazione analogica nell’evocare strumenti, meccanismi, ditte, marche, oggetti del passato: tutti fusi e impastati in un grande GOLEM: l’osare. Andare oltre i limiti e quindi pagarne lo scotto. Da Philip Dick al mito di Icaro, ad Adamo ed Eva.

William Gibson è uno scrittore unico: scrive coniando termini come ciberneutica e cyperpunk, senza conoscerne effettivamente le tecnologie sottostanti. I romanzi sono stati scritti negli anni ottanta, ma risentono di modi di vedere dei due decenni precedenti: l’impostazione è meccanica. Si riprende dell’innesto corpo macchina che è orrorifica nella locuzione del <<cyborg>>. Oggi le tecnologie sono più soft, l’impostazione è sì di rete, ma più articolata e dematerializzata. Dal tendine al muscolo, si arriva alla molecola, al Dna.

Il punto di vista è statunitense, più precisamente asiatico-californiano.

I luoghi sono claustrofobici: tombe per dormire, scale e piani a chiocciola. È una distesa cibernetica di reti, nelle quali i nodi, gli uomini e le donne, possono essere costruiti, decostruiti, riprogrammati, distrutte. Sia nelle città sia nello spazio, negli asteroidi e dentro il cyberspazio.

Nei tre libri emergono grandi quantità di oggetti di tutti i tipi: una chincagliera sterminata nel tempo, tra elicotteri, accendini, mobili, ringhiere, banconi, vestiti. Un enorme supermercato semovente pacchiano, altamente tecnologico, assieme alla sporcizia, al vecchiume, all’immondizia. Ognuno è potenzialmente un residuo che è sempre in vendita: parti del corpo, e pure le loro molecole e neuroni. Una continua presenza di polvere e pulizia patinata. Un’osmosi putrida, come i filtri di un rene.

Tutto deve essere pieno in un continuo vortice che trasmette, ingoia, pulsa oggetti. È emblematico nel secondo romanzo, il robot con le tante braccia che assembla scatole, relazioni, dati, oggetti, simboli. Significati. Il cyberspazio che parla con se stesso e ingoia continuamente se stesso.

È una trilogia che permette una nuova visione del nostro inconscio.

Sia consentita però una nota traduzione in italiano del terzo volume. Vi sono errori sistematici nell’uso dei condizionali con in congiuntivi. E talvolta l’uso di verbi fattuali ripetuti che denotano una semplificazione eccessiva del testo in lingua originale. E non mi si dica che è una traduzione letterale dell’autore. Non esiste sia nel testo inglese e anche per il fatto che nella lingua italiana si ha una maggiore libertà nel comporre le forme verbali, rispetto a quelle inglesi, e in particolare di Gibson che non usa un linguaggio sofisticato.

Nei libri che compongono una saga, o che più semplicemente si riferiscono l’un con l’altro vi è il rischio di dover elaborare finali non troppo originali, per mantenere la coerenza giustapposta in romanzi che magari all’inizio erano progettati per essere unici. Vi sono comportamenti prevedibili per alcuni personaggi alla fine. Come se l’autore volesse tirare le fila e chiudere i discorsi aperti e di poco incoerenti degli altri libri, ma il livello è altissimo nella tensione emotiva per la scansione degli eventi.