§CONSIGLI DI LETTURA: ECONOMISTI DEL CINQUE E SEICENTO

Economisti del cinque e seicento.
Autori vari (vedi note), curatore:
Graziani, Augusto, collezione
“Scrittori d’Italia 47”;
G. Laterza & Figli; Bari, 1913

      Il volume contiene:

      – “L’Alitinonfo”, di Gasparo Scaruffi, 1579

      – “Breve trattato delle cause che possono far abbondare li regni d’oro e

        argento dove non sono miniere”, di Antonio Serra, 1613

      – “La zecca in consiglio di Stato”, di Geminio Montanari, 1683

È una raccolta di testi che parla del nostro passato ancestrale, la cui attenta lettura potrebbe svelare indirettamente i pericolosi stereotipi e i pensieri “magici” che abbiamo ancora oggi nell’intendere e nel perseguire il benessere e la prospettiva di sopravvivere con agio.

L’edizione del 1913 offre una panoramica riguardo i modi di intendere le pratiche economiche durante il seicento in alcuni regni della penisola italica: il luogo ancora più ricco e più densamente popolato del continente europeo.

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Considerando che alcune soluzioni proposte erano già allora inefficaci, è interessante rilevare l’intento degli autori nel proporre soluzioni non banali ai problemi del periodo.

Noi, che viviamo la contemporaneità, abbiamo la convinzione di essere i più avveduti nel comprendere i fenomeni, i più saggi nel determinare gli scopi del nostro agire e i più efficienti nel prevedere le tendenze di lungo periodo. La convinzione di seguire un itinerario asintotico verso la perfezione nel formulare giudizi obiettivi ed adeguati per i nostri bisogni, forse non è così salda e indefettibile. 

Consideriamo il nostro particolare “passato” nazionale, individuale e famigliare caratterizzato da individui meno sapienti di noi, affetti da visioni magiche e da pregiudizi riguardo alla visione del mondo e nella fattispecie delle scienze, in particolare quelle economiche.

Gli scritti di questi autori vissuti quasi cinquecento anni fa, invece, mostrano come le società di quei tempi furono altamente sofisticate e molto meno “primitive” di quanto pensi.

Il modo di analizzare i problemi derivati da pratiche truffaldine, contraddistinte da visioni limitate e da conoscenze mediocri, offre una profilassi nel mantenere, un atteggiamento critico laico nel discutere e nel ragionare circa i dibattiti delle politiche economiche di oggi. Un impegno a evitare la tentazione di affidarci passivamente all’autorità, al pensiero magico, e alla nefasta pigrizia mentale che riduce le capacità di ragionamento in asserzioni superstiziose: elementi che innescano metodi assertivi e violenti.

L’ignoranza e il cedimento alla pigrizia intellettuali, talvolta costituiscono una pericolosa sponda verso la povertà materiale e l’assenza di una prospettiva per il futuro.

È commovente leggere la lingua italiana scritta con uno stile lineare e pulito. Gli autori hanno rispetto dei lettori (anche perché erano i loro datori di lavoro, e inoltre i principi erano di poca pazienza).

Possiamo ricavare dal punto di vista storico e antropologico diverse strategie di attribuzione di valore a ciò che era considerato meritevole di una misura in moneta. La moneta, da parte gli autori, è ritenuta una parte integrante delle interazioni sociali e dell’attribuzione di valore agli oggetti, al netto dei vincoli imposti dalla realtà nel reperire le risorse utili e passibili di ulteriori e profittevoli trasformazioni.

Vi sono tabelle di corrispondenza tra il valore e la composizione in metallo delle monete e come disporle. Siamo ancora prima dell’algebra lineare codificata da Cartesio in poi. Qui le matrici non sono quelle che inconsciamente intendiamo noi. No: sono vere e proprie tabelle che dovevano essere viste come colonne appese ai muri, per gente analfabeta che doveva leggere quel particolare stampo, o quella quantità di metallo corrispondente a un valore. Dobbiamo ricordare che erano usate le stadere. Il peso di un materiale era correlato a un movimento meccanico che componeva un equilibrio. A un braccio o una parte del corpo.

La geometrica non era immediatamente associata ai numeri. Non era in uso il piano cartesiano, ovvero la relazione tra un numero e un punto dello spazio.

La raccolta è anche un’analisi antropologica del periodo che permette anche di conoscere noi stessi. Sì: perché siamo ancora lì: trattiamo le monete come enti sacrali, separati dalle regole, dalle organizzazioni che sono fatte sempre da individui.

Lo stile diretto, umile quasi, nel trattare gli argomenti sono una risposta dopo cinquecento anni a chi, oggi, nel proporre le soluzioni che riguardano il nostro benessere, parla in modo oscuro, ambiguo, teatrale, e volutamente evasivo.

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Gasparo Scaruffi con L’Alitinonfo del 1579 introduce il primo sistematico scritto italiano di temi monetari a contenuto anche teorico, dotato di argomenti a favore di un ordine monetario universale, affermando la centralità dell’osservazione e della misurazione dei fenomeni. Esprime le esigenze e le preoccupazioni di una borghesia finanziaria internazionale a fronte di un crescente disordine monetario e del progressivo avanzare dell’assolutismo politico.

È corredato da numerose, dettagliate tabelle e da disegni delle future monete. Descrive i criteri cui attenersi per realizzare un coerente sistema di monete di vario peso e titolo e di diverse specie metalliche. Un sistema tale che, una volta adottato in ogni singolo Stato, avrebbe avuto l’effetto di dare vita a un circuito unico, universale e durevole di monete. Avrebbe risolto il problema della speculazione con pagamenti certi e giusti. Le regole contabili coattive proposte, sono compensate da altre disposizioni volte a tutelare coloro ai quali venga sottratto il controllo diretto sulla monetazione. Concede la possibilità di pagare in metallo fino o in moneta coniata, da parte dei privati avendo la facoltà di detenere liberamente metalli preziosi in qualsiasi forma.

In secondo luogo, propone un divieto rivolto agli zecchieri, di non usare i valori nominali delle monete, per le fatture e qualsiasi tipo di rendiconto. Vale a dire, qualunque costo di produzione o eventuale tassa si deve pagare a parte, e non attraverso un peggioramento delle leghe. La diffusione del metodo deve partire dal basso, cioè dalla natura degli scambi e non da una imposizione di una volontà centrale.

Al netto delle critiche che si sono espresse nei secoli rispetto a tale scritto, l’opera, però, impiega per la prima volta una logica economia rigorosa volta ad affrontare una questione d’interesse pubblico. È enucleata la centralità della misurazione, l’uso dell’aritmetica e dell’osservazione, il concetto di homo oeconomicus, di utilità e rarità. Il tutto accompagnato da una tariffa monetaria che incide sulla distribuzione della ricchezza, in quanto rapporto tra grandezze e non come sostanza. Infine, è suggerito un sistema mondiale e interdipendente di merci e monete tendenzialmente in un equilibrio.

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Il “Breve trattato delle cause che possono far abbondare li regni d’oro e argento dove non sono miniere”, di Antonio Serra, è considerato il primo scritto di economia politica in Italia, e uno dei primi in Europa. Lo scritto tratta le cause della scarsità di moneta nel Regno di Napoli e i fattori che avrebbero potuto invertire questa tendenza economica. Fu il primo ad analizzare il concetto di bilancia commerciale sia per i beni visibili che per quelli invisibili (i servizi e i movimenti di capitali). Spiega come la scarsità di moneta nel Regno di Napoli fosse causata dal deficit della bilancia dei pagamenti e non per il tasso di cambio. La proposta è volta ad una promozione attiva delle esportazioni. È importante sottolineare che non sono utilizzati criteri morali della scolastica medioevale, perché l’impianto, agli occhi di noi contemporanei, è dotato di una visione laica.

Il Trattato si distingue dagli altri dedicati all’epoca, non solo per la fine analisi degli aspetti tecnici del funzionamento del mercato dei cambi, quanto per la descrizione del legame tra la carenza di denaro nel Regno di Napoli e il debole sviluppo dell’attività produttiva, dipendente, inoltre, da quote maggioritarie di capitali esteri investiti (e prestati).

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“La zecca in consiglio di Stato”, di Geminio Montanari del 1683 tenta di risolvere il problema derivato dal fenomeno dell’augmentum, ossia della rivoluzione dei prezzi che caratterizza le economie europee del 16° e 17° secolo. Il metodo di indagine è prettamente matematico e vuole essere scientifico. Nello scritto i fenomeni sono considerati conoscibili solo dopo aver proceduto alla definizione del campo d’indagine, nel quale ogni relazione va sottoposta a verifica. È importante l’osservazione e l’esperimento. La moneta deve essere studiata sulla base della funzione svolta dalle monete storiche. L’agire economico si basa sulla volontà individuale che tende a soddisfare i bisogni. I mercati sono dotati di un punto di equilibrio che dipende da scambi alla pari, dove i guadagni e le perdite si compensano, per la limitatezza delle risorse.

L’economia è dotata di una propria autonomia scientifica, con leggi proprie, indipendenti dal diritto e dalla morale. Le scelte politiche intervengono come condizionamenti esterni di cui valutare, economicamente, gli effetti.

La moneta è un oggetto convenzionale autenticato dall’autorità pubblica per servire come «prezzo e misura» delle cose commerciabili. Il valore della moneta non sta in qualche suo intrinseco contenuto, ma nel suo potere d’acquisto. L’unico prerequisito è che le merci o le monete in questione si reputino utili. Posto che lo siano, il loro valore dipende dalla quantità offerta: tanto più sono rare, tanto più son valutate. La combinazione di utilità e rarità è la legge indipendente dalla volontà politica che governa i valori e gli scambi commerciali.

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Delinea un’analisi simile a ciò che in futuro sarà denominato sarà denominatao il metodo delle “approssimazioni successive”, e quello della futura cinematica storica: utili ad allentare il vincolo costituito dal dover metter a confronto, istante per istante, solo coppie di quantità. Partendo dagli scambi tra monete, si pongono in sequenza coppie di collegamenti successivi che comprendono in un unico quadro, merci, bisogni, consumi, investimenti, produzioni, redditi, prelievi fiscali, risorse naturali, capacità produttive e il benessere dei popoli.

Insomma, una raccolta di testi utili per affinare lo spirito critico.

§CONSIGLI DI LETTURA: RESISTENZA E RESA

Dietrich Bonhoeffer
RESISTENZA E RESA Lettere e scritti dal carcere Introduzione di Italo Mancini.
Titolo originale: “WIDERSTAND UND ERGEBUNG”. Copyright 1951 by Chr. Kaiser Verlag, Munchen. Traduzione dal tedesco di Sergio Bologna.
Dietrich Bonhoeffer
RESISTENZA E RESA Lettere e scritti dal carcere Introduzione di Italo Mancini.
Titolo originale: “WIDERSTAND UND ERGEBUNG”. Copyright 1951 by Chr. Kaiser Verlag, Munchen. Traduzione dal tedesco di Sergio Bologna.

Un testo che forse può orientarci nei dubbi e nelle paure che attraversano questi giorni di guerre e pandemie e di angosce verso sempre nuove “crisi”.

Bonhoeffer  ha un atteggiamento e una visione del mondo da credente profondo, impegnato, con una fede pervasiva. Le sue riflessioni hanno per fondamento la fede verso la divinità. Per coloro che hanno un atteggiamento meno intenso, diverso, antitetico a quello del credente che professa attivamente la fede, questi scritti, sono comunque d’interesse perché toccano i temi relativi all’individuo in rapporto al potere che opprime e che uccide, alla norma che è sì coerente, ma che involve verso il male e la distruzione, al mondo che impone scelte vincolanti, comunque compromissorie e portatrici di dolore per sé e per gli altri.

B. afferma l’impossibilità a uscire fuori dal mondo, e anzi riflette sul fatto della presunta postura di distacco e di ascesi solipsistica, che è illusoria, ipocrita o arrogante, o stupida in certi casi. E nell’ultimo caso ritiene sia la condizione più pericolosa, perché derivata dalla volontà corrotta di non ammettere la propria paura, e quindi di obliare la convinzione di credersi il metro e l’unico portatore di sofferenza nel mondo.

Nonostante molte delle sue posizioni oggi ci allontanerebbero immediatamente dai suoi scritti, come quello (diciamo eufemisticamente “retrogrado”) del ruolo della donna all’interno del matrimonio, nello spazio pubblico, invece l’etica, la convivenza, il coraggio, la resistenza, la compassione, la limitatezza di sé in rapporto alla storia e al mondo, invitano a una riflessione sul nostro vivere.

“Resistenza e Resa” raccoglie le lettere ed altri testi scritti da Bonhoeffer nel carcere berlinese di Tegel, dove fu detenuto dall’aprile ’43 all’ottobre ’44, per poi essere trasferito nel carcere sotterraneo della Gestapo in Prinz-Albrecht-Strasse. Di lì i contatti furono molto difficili e rari, il 7 febbraio ’45 fu trasferito al campo di concentramento di Buchenwald, il 3 aprile fu a Regensburg, l’8 aprile passò da Schönberg a Flossenbürg, dove verrà giustiziato. La presente edizione alterna le lettere di Bonhoeffer a quelle inviatigli da parenti ed amici, suoi interlocutori sono i genitori, il nipote quattordicenne Christoph von Dohnanyi, il fratello Karl-Friedrich, l’amico fraterno e pastore egli stesso Eberhard Bethge (che diverrà il suo biografo) con sua moglie Renate, nipote di Bonhoeffer e qualche altro parente. Non vi sono le lettere alla fidanzata Maria von Wedermeyer con la quale Bonhoeffer progettava di sposarsi, rimaste a lungo inedite (esiste ora il volume Lettere alla fidanzata-Cella 92. Dietrich Bonhoeffer-Maria von Wedermeyer 1943-45, Bologna, Queriniana). In carcere Bonhoeffer riesce a leggere, scrivere, riflettere, pregare, riceve pacchi dai familiari e lettere, sia ufficialmente, sia clandestinamente. La corrispondenza con Bethge, che contiene le più importanti riflessioni teologiche di Bonhoeffer, inizia il 18 novembre ’43 durante la prima licenza di Bethge, militare in Italia, a Berlino, ed è clandestina.

42  Bonhoeffer pone come fondamento della libertà quella verso Dio nella visione di una teologia negativa. La divinità è indubitale, anche nella sua necessaria assenza nel mondo. L’essere umano non può vederla ed è impossibile che si nomini vate e custode del vero (cioè Dio). L’uomo e la donna testimoniano la lacerante certificazione dell’assenza della divinità, attraverso Cristo, cioè attraverso il suo annichilimento nel mondo. Non possiamo dire alcun “che” del vero, anche nella impossibilità a negarlo.

L’essere umano può sì agire, nella convinzione della libertà e quindi nel rischio di errare e di cadere nel male. Ed ecco che le lettere scritte dalla prigionia, sotto il controllo dei nazisti, testimoniano indirettamente la sua resistenza da prigioniero, perché oppositore del regime nazista, mentre era sotto gli interrogatori che lo porteranno, a pochi giorni della fine della seconda guerra mondiale , a subire l’impiccagione. Lui che poteva fuggire già anni prima, ma che ritornò in Germania per resistere. Lui che poteva evadere, ma che non lo fece per non causare danni a suo fratello già incarcerato.

42 Con la fuga da un confronto pubblico, qualcuno riesce a ripararsi nel rifugio privato dell’essere ́virtuoso. Ma deve chiudere gli occhi e la bocca di fronte all’ingiustizia che lo circonda. Può evitare di sporcarsi con un’azione responsabile soltanto a costo d’ingannare sè stesso. In tutto ciò che egli fa, lo accompagna il tormento per ciò che egli non fa. Finirà per essere sopraffatto da tale tormento oppure diventerà il più bieco fariseo.

44 Finchè il successo è dalla parte del bene, possiamo concederci il lusso di considerare il successo eticamente irrilevante, ma non appena sistemi condannabili conducono al successo, sorge il problema. Di fronte ad una simile situazione, ci accorgiamo che non ne veniamo a capo nè con un atteggiamento di chi osserva e critica sul terreno teorico e vuol avere sempre ragione, ossia rifiuta di porsi sul terreno delle cose, nè con l’opportunismo, cioè con la rinuncia a sè stessi e la capitolazione di fronte al successo. Non vogliamo nè dobbiamo essere critici offesi o opportunisti, ma corresponsabili nella formazione della storia – caso per caso e a ogni istante, come vincitori o come sconfitti.

47

“Disprezzo per l’uomo?”

Il pericolo di lasciarci trascinare a disprezzare l’uomo è molto grave.

Sappiamo benissimo di non averne alcun diritto e che in tal modo finiremmo per porci in un rapporto quanto mai sterile con l’uomo. Possono difenderci da questa tentazione le seguenti riflessioni: disprezzando l’uomo incorriamo proprio nell’errore maggiore dei nostri avversari. Chi disprezza un uomo non potrà mai cavarne fuori qualcosa. Nulla di ciò che disprezziamo nell’altro ci è completamente estraneo. Quante volte noi aspettiamo dall’altro più di quello che noi stessi siamo disposti a fare! Perché abbiamo continuato a considerare con così scarsa obiettività l’uomo, la sua facilità a cedere alle tentazioni, le sue debolezze? Dobbiamo imparare a considerare gli uomini non tanto per quello che fanno o non fanno quanto per quello che soffrono. L’unico rapporto fecondo con l’uomo – e in particolare con il debole – è l’amore, cioé la volontà di mantenere con lui una comunione.

50-51

“Compassione”.

Bisogna tener conto che la maggioranza degli uomini si ravvede solo dopo aver subito esperienze sulla propria pelle. Così si spiega in primo luogo la stupefacente incapacità della maggioranza degli uomini a compiere una qualsiasi azione preventiva – si pensa sempre di poter sfuggire al pericolo, finchè è troppo tardi; in secondo luogo l’apatia verso la sofferenza altrui; con il crescere della paura per la minacciosa vicinanza della disgrazia, nasce la compassione.

Ci sarebbe molto da dire per giustificare tale atteggiamento; dal punto di vista etico: non si vuol fermare la ruota della fortuna; soltanto quando la situazione si fa seria si trova l’ispirazione e la forza di agire; non si è responsabili di tutta l’ingiustizia e il dolore del mondo e non ci si vuol erigere a giudici del mondo; dal punto di vista psicologico: la mancanza di fantasia, di sensibilità, di disponibilità interiore vengono bilanciate da una solida rilassatezza, da un’imperturbabile energia lavorativa e da una grande capacità di soffrire.

52-53

“Ottimismo”.

E’ più da furbi essere pessimisti: si dimenticano le delusioni e si sta in faccia alla gente senza compromettersi. Così l’ottimismo è passato di moda presso i furbi. Nella sua essenza, l’ottimismo non è un modo di vedere la situazione presente ma è un’energia vitale, una forza della speranza là dove altri si sono rassegnati: la forza di tenere alta la testa anche quando tutto sembra fallire, la forza di reggere i colpi, la forza che non lascia mai il futuro all’avversario ma lo reclama per sè. Certo, c’è anche un ottimismo stupido, vile, che deve essere vietato. Ma l’ottimismo come volontà di futuro non dev’essere mai disprezzato anche se porta a sbagliare cento volte: rappresenta la sanità della vita, quello che il malato non deve intaccare. C’è gente che ritiene poco serio, cristiani che ritengono poco pio, sperare in un migliore futuro terreno e prepararsi a esso. Credono nel caos, nel disordine, nella catastrofe come nel senso degli eventi contemporanei e si sottraggono – con rassegnazione o con la pia fuga dal mondo – alla responsabilità di continuare a vivere, di ricostruire, alla responsabilità verso le generazioni future. Può darsi che il giudizio universale cominci domani; allora, e non prima, smetteremo di lavorare per un futuro migliore.

74-75

Penso che sia semplicemente un fatto di natura; la vita umana si spinge ben oltre la mera esistenza corporea di noi stessi. Probabilmente chi lo sente più forte è una madre.

195 E nel trascorrere dei mesi, B. tentava di portare serenità agli altri carcerati e indefesso, tra i malanni e le privazioni, continuava il suo lavoro di riflessione e di impegno. Si noti come da una domanda teologica, vi è una domanda filosofica sotto, che lacera il dissidio, e che pone tante contraddizioni, e cerca di rendere manifesta, fenomenologica per assenza la trascendenza. Da riflettere. In tutti i casi.  Per analogia, la trascendenza quasi una proiezione all’infinito di un punto polare delle coniche di Apollonio.

 b) Chi è Dio? Non, prima di tutto, fede generica in Dio,

nell’onnipotenza di Dio e via dicendo. Questa non è autentica esperienza di Dio, ma un pezzo di mondo prolungato. Incontro con Gesù Cristo. Prendere coscienza che qui è avvenuto un rovesciamento di ogni essere umano, che Gesù esiste solo per gli altri. Lo  ́esistere-per-gli-altri di Gesù è la presa di coscienza della trascendenza. Dalla libertà da sè stesso, dall’ ́esistere-per-gli-altri fino alla morte scaturiscono l’onnipotenza, l’onniscienza, l’onnipresenza. Fede è partecipazione a questo essere di Gesù. (Incarnazione, croce, resurrezione.) Il nostro rapporto con Dio non è un rapporto  ́religioso con l’Essere più alto, più potente, più buono: questa non è vera, autentica trascendenza; il nostro rapporto con Dio è una nuova vita nell’ ́esistere-per-gli-altri, nella partecipazione all’essere di Cristo. Il trascendente non è doveri infiniti, irraggiungibili, ma il prossimo, dato volta per volta, raggiungibile. Dio in forma umana!, non come nelle religioni orientali in forma ferina, il Mostruoso, Caotico, Lontano, Raccapricciante; ma nemmeno nelle forme concettuali dell’Assoluto, del Metafisico, dell’Infinito eccetera; e neppure la figura greca del dio-uomo che è l’ ́uomo in e per sè, ma l’ ́uomo per gli altri!, quindi il Crocefisso. L’uomo che vive del trascendente.

E questa è un frammento di un’ultima poesia di settembre a noi rimasta.

227

“[…]

Disteso sul tavolaccio

fisso la parete grigia.

Fuori, un mattino d’estate,

ancora non mio,

esultando va verso la campagna.

Fratelli, finchè non giunge, dopo la lunga notte,

 il nostro giorno,

resistiamo!

§CONSIGLI DI LETTURA: Howard Phillips Lovecraft. Tutti i romanzi e I racconti

Howard Phillips Lovecraft. Tutti i romanzi e I racconti, Newton Compton Editori (14 gennaio 2011), Roma

L’opera intera di Howard Phillips Lovercraft indica una riflessione rivolta alla condizione di limitatezza che è propria dell’essere umano nel comprendere il senso del mondo e nell’essere artefice del proprio destino. La copiosa quantità di racconti mostra l’ineluttabile sconfitta a contenere la verità ultima delle cose e delle cause, e la grama facoltà di poterlo raccontare. La realtà è indescrivibile: l’altro e il cosmo agiscono in piani imperscrutabili, talvolta per noi minacciosi e distruttivi.

Il male esiste e la sua incidenza dipende dalla nostra impossibilità a contenerlo, capirlo, dominarlo. Certamente possiamo resistere, ma la quota di questa difesa dipende dal grado di consapevolezza dell’esistenza di eventi ed identità che vivono in scale immensamente più grandi del nostro vivere.

Il male riveste la maschera dell’orrore nel momento in cui ognuno rifiuta di vederlo, e quindi di scrutarsi. Anche nella propria interiorità si annidano i demoni. La speranza di ottenere qualche istante di sopravvivenza in più, risiede nella disponibilità a nominarli in modo indicale, e non sostantivo, perché impossibilitati a comprenderli. Tanto più si riesce a sopportare il dolore e la paura, quanto meno sottraiamo secondi della nostra vita all’orrore che, comunque, arriverà sicuramente con la sorella nera.

L’essere umano vive in quella sponda cosmica oscura, in cui per una eternità non è esistito, e successivamente è accompagnato dall’unica certezza che in un battito di ciglia ritornerà in quella condizione.

La disperazione può essere lenita dalla possibilità di raccontarla. L’unico medicamento efficace per non impazzire consiglia di comunicare la condizione di stare affondando verso l’urlo della disperazione, gorgogliando echi che annunciano sprazzi del proprio annichilimento.

Gli scritti di H. P. Lovercraft investono una condizione universale che oscilla tra la tentazione di confondere la realtà con la propria descrizione, e quindi di sostituire il linguaggio al mondo, anche per il tentativo di stabilire una nozione razionale del “male”. È data per scontata la volontà a ordinare quello che chiamiamo caos, che è tale invece per la deficienza che è propria dell’essere umano. La comprensione di sé come scheggia di vita che ha come tratto distintivo il muto urlo interiore, ha l’unica speranza di illudersi a un vivere in cui si è resistenti alla paura e al dolore, nell’esprimere la propria interiorità che è aggrappata al ciglio dei demoni, oscillando nel burrone del tempo che rende friabile ogni appiglio.

L’illusione che l’altro capisca il silenzio paralizzante del proprio vivere e che a sua volta corrisponda con una sensatezza a noi coerente, è il senso del vivere che l’opera di H. P. Lovercraft offre nell’esalare i pochi attimi di presenza al mondo, evitando l’immediata e solitaria pazzia che distende la via più veloce verso la morte.

Il suo stile varia nei racconti, mantenendo però timbri costanti nell’uso immaginifico delle sinestesie e nella sovrabbondanza quasi pittorica degli aggettivi che accompagnano le azioni dei singoli e le intere vicende della storia narrata. La contingenza, come unico stato di senso, ha bisogno di uno stile quasi espressionista dal punto di vista pittorico, informando però che quello che è descritto non è la grandezza del mondo, ma l’infinita sconfitta a negare i propri limiti nell’attribuire un significato a ogni oggetto e stato del mondo.

È coinvolgente e superlativo a evocare ciò che in ogni ora di qualsiasi giorno cerchiamo di tenere nei bassifondi della nostra esistenza interiore, costituita dal male che tentiamo di negare e di proiettare al di fuori, e dalla volontà di vivere che si denota esclusivamente per la sua disperata debolezza e nel timore per tutto ciò che la circonda.

Questa lettura poderosa è un’occasione che facilita il perseguimento di una facoltà di giudizio più matura nel tentare di chiarire le nostre risorse intellettive. E, inoltre, custodisce una miniera di risorse linguistiche a immaginare mondi provvisoriamente coerenti che siano da noi giudicati più accettabili per evitare il panico e la follia.

[CREDITI: Alcune di queste riflessioni hanno preso spunto dalle monografiche di Riccardo Dal Ferro (canale Youtube “ RickDufer”). ]