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CONSIGLI DI LETTURA: NEL PAESE DELLE ULTIME COSE

“Nel paese delle ultime cose (In the Country of Last Things) 1987, Ed. Italiano 2018, Einaudi, Torino, di Paul Auster (Autore), Monica Sperandini (Traduttore)

Con Paul Auster si respira alta lettura con un’aria di montagna che non lascia spazio a pigre sensazioni. Si arriva subito in una posizione panoramica che invita ad una lettura che segnerà il proprio senso estetico.

Soltanto per la sapiente commistione di stili, questo romanzo è un capolavoro. A prima vista sembra una lunga lettera che però assume, nel corso della lettura, la struttura di un lungo diario. Nelle prime pagine è narrato nel tempo presente, ma è intervallato nei salti temporali e nelle spiegazioni circa gli eventi generali che oltrepassano le gesta dei momentanei protagonisti in una narrativa di memoria.

È un diario di bordo, perché la narratrice man mano che prosegue nella descrizione delle sue avventure, colloca i luoghi e le vicende in una spirale, in cui ella ne diviene parte. Il punto di vista dell’esterno e lo spazio di confine, nel flusso delle parole, sono risucchiati all’interno del luogo circoscritto: il paese delle ultime cose.

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Paul Auster descrive con una eccellente capacità i personaggi attraverso una tecnica che rimanda alla descrizione dei tratti somatici e dalle loro posture in linea con la tradizione dei romanzi psicologici dell’inizio del 1900. Però non si ferma solo in questa linea di presentazione: ed è qui che mostra di essere uno scrittore di altissimo livello. La narratrice descrivendo i personaggi, nel contempo, attribuisce qualità morali e caratteriali che non hanno soltanto lo scopo di inquadrare ed eventualmente collocare la figura in un quadro che delinea l’eroe, l’antieroe, il buono, il meschino, perché le loro inclinazioni ed attitudini variano di scopo e di valore. Il mutamento è in relazione ai continui climax di sopravvivenze cui sono sottoposti.

Vi è una tecnica sopraffina nel ritmo della scrittura che offre dapprima un quadro morale sicuro in cui collocare i tipi e indurre le loro eventuali azioni, il quale, in modo sotterraneo con i richiami del loro passato, è trasformato in un complesso di cause efficienti per gli avvenimenti che da lì a poco appariranno. Le figure topiche che via via scorrono, lasciano emergere nuovi luoghi di narrazione che proiettano il diario di memoria, e quindi al passato, in un fiume del presente. Il lettore è accompagnato in questa navigazione, senza che perda il pathos e il godimento estetico derivato dalla fruizione del testo, per soffermarsi a ricollegare le situazioni e le condizioni che hanno generato i singoli eventi.

Paul Auster dispiega una palestra dotata di infinite risorse conoscitive e di strumenti per chiunque voglia esprimere il suo mondo interiore nella forma della scrittura. In primo luogo, in forza diaristica, quindi personale, e per avventurarsi nell’acquisizione e nella produzione autonoma di propri stili espressivi.

Gli ambienti acquisiscono una vita propria che è dipinta dalle metamorfiche caratteristiche fisiche e morali dei personaggi. La narratrice entra ed esce dagli avvenimenti, perché in un primo momento configura un timbro complessivo di questa cascata sovrabbondante di stimoli che in modo alternato fa scorrere i dialoghi nei momenti topici. In seguito trasla gli scenari in un participio passato per riassumere il vortice di caduta di questo paese in un capolinea: la linea sicura cui il lettore possa appoggiarsi nel mantenere un filo temporale compiuto.

Il lettore ha in dotazione la possibilità di poter modificare la vista del paesaggio in negativo, a colori, in bianco e nero, di vederlo muovere o di collocarlo in un fermo immagine, e tutto ciò accade nello spazio di uno o due pagine. La bellezza di questo romanzo, è che nella lettura, se ci si lascia appassionare, non vi è bisogno di soffermarcisi, o di accorgersi di questa giravolta stroboscopica dei punti di vista.

La protagonista, ama, odia, dispera, reagisce, avanza in modo tenace anche nel dolore e nello scoramento. Gli avvenimenti accadono sull’orlo di un baratro, in una tensione per la quale si possa perdere tutto: cose, persone, ricordi, criteri di ordine delle relazioni sociali. Vi è una spasmodica ricerca di ordine e di senso, per definire una prospettiva verso il futuro, all’interno di uno stato carcerario di continua sopravvivenza, ove sembra impossibile uscirne.

Il fiume non si ferma, sicché si cerca di galleggiare tra i flutti delle onde su una zattera che affonda. Si afferra un suo relitto, che successivamente è travolto da una nuova tempesta. Si cerca, allora, un appiglio a ridosso di scogli taglienti, ma anche qui ricomincia l’instabilità.

Vi è il tempo che divora. Questo paese si vuol mostrare come un luogo in cui i bimbi decidono di non nascere e i vecchi di non trapassare. I secondi sono cannibali, cloni di Crono, e i primi olive avvizzite cadute dal ramo, prima della trasformazione in olio.

La trama del romanzo è definita da una metafora della scrittura che oscilla nell’invenzione del mondo, e nel tentativo di descrivere quello che è presunto reale, cadendo quindi nella onnipresente contraddizione di scrivere del fantastico, e di definire in modo infondato ciò che non lo è, partendo proprio dall’invenzione. È una prigione dalla quale è impossibile uscirne.

Ciò spiega allora il modo indiretto in cui sono sovrapposti gli stili. È impossibile dichiararli compiutamente in un elenco esplicito, perché diverrebbero un polo dei due di questa insanabile contraddizione che appare in un regresso all’infinito.

Ed è qui che il tempo della narrazione, nel suo complesso, si svolge in questo vortice senza fine di distruzione di senso, se non in quello della contraddizione, che è l’ultima stazione degli eventi cui è impossibile ripartire.

Vi sono situazioni che richiamano le tragiche e mondiali vicende accadute nella prima metà del novecento, e quelle attuali tra gli anni settanta e ottanta, coeve alla generazione dello scritto. Si parla di ieri e di oggi, perché appunto qui sono entrambi fermi in questo “fine” capolinea.

È un romanzo che suscita forti emozioni e impegna il lettore a sostenere questa integrale tensione fisica che però dona la possibilità di sublimare la sensazione di greve precarietà che avvolge ognuno di noi. Siamo tutti sorelle e fratelli in questa grama condizione che lascia trasparire qualche fiore nelle paludi delle lacrime. La bellezza che strugge.

È sentitamente consigliato avventurarsi in questa tremenda consapevolezza, avendo comunque accanto la narratrice che ci protegge e ci accompagna durante la lettura.

CONSIGLI DI LETTURA: LA RAGAZZA DELLA PALUDE

LA RAGAZZA DELLA PALUDE, di Delia Owens (Autore), Lucia Fochi (Traduttore), Solferino Editore (2022), Rizzoli, Milano, ed. originale in lingua inglese, 2018

Non è un caso che appena uscito, fu un successo per tutto il mondo anglosassone e poi europeo, e da cui fu tratto un film, famosissimo. Il romanzo, però, al di là delle stesse intenzioni dell’autrice, ed è questo il bello delle opere mirabili, è ben più articolato e denso del film e della pubblicistica. Qui siamo innanzi all’evento di questa ragazza che oltrepassa il suo luogo d’ideazione e diviene veramente la “La Ragazza della Palude”.

Gli anni vanno e vengono nella narrazione come onde, flutti e riflussi sulle coste. Ritornano lì nel pantano, e tutto ritorna accolto nella palude. La mappa fornisce i luoghi topici e mitici. La città è una escrescenza tra l’oceano, la pozzanghera, l’umido e il fiume, conservata per poco dal sale, e poi corrosa. Tra schiume del tempo e brezza del ricordo.

In quel luogo vi è la ragazza della palude che ognuno abbandona nella solitudine. Però, lì, quasi tutti ritornano. Nel pantano le onde e i rami schiumano, interrompendo il loro flusso ben coordinato e veloce rispetto allo scandire del tempo. Ciò che sembra lineare, nel pantano sembra arrestarsi. Acqua, fango, uova di uccelli, molluschi, insetti, rami, radici, foglie morte, ognun si tampona con l’altro. Il grande cumulo, dove anche i secondi restano intrappolati nella sabbia che, accogliendoli e disgregandosi, inclina lo spazio, e lo proietta in una immagine statica, senza che vi sia movimento: in modo carsico. L’acqua pian piano fluisce e lega ogni oggetto in un groviglio, vivo o decomposto, in un grande grumo, che continuamente si dispiega, in una metamorfosi di insetti, di larve, di fusti d’acquitrino, di alghe, di pesci che lì stazionano e nascono. È una danza da fermi che roteando genera strutture ben più corpose, come le aree costruite dagli uccelli migratori e da quelli stanziali, i quali, come provetti carpentieri, impastano l’acqua nell’edificare le spiagge, i nidi, gli isolotti e le dighe.

Prede e predatori lì convergono, attirati da tutti i loro secondi impigliati.

Delia Owens, prima di scrivere il suo romanzo d’esordio, e anche dopo, è stata una valente etologa e ornitologa, e lo si nota dalla descrizione minuziosa degli animali, dei pesci, degli insetti, i quali agiscono, entro e con la palude, assieme ai personaggi canonici.

L’ecologia, intesa come un nido d’infanzia, la casa di cura e di nascita, segue un filo narrativo parallelo con le azioni dei singoli, oscillando su intervalli temporali che, come il giorno e la notte della nebbia e della rugiada della palude, vanno avanti negli anni e ritornano indietro. Gli eventi iniziano in modo invertito, collegandosi con situazioni accadute mesi e decenni prima, e viceversa. Il perno di questo vortice temporale che conferisce la stabilità alla narrazione è LEI: la ragazza della palude. La fragile bimba vessata ed abbandonata, disprezzata, osteggiata, isolata, che, però, trae da sé stessa le forze e le capacità per sopravvivere e crescere e venire in relazione con ciò che è al di fuori della palude, nel tempo della società. Quella particolare comunità che però ondeggia tra il fiume e l’oceano. Due canne d’acqua in balia delle onde del tempo, delle quali, la palude, è ancor di più, a pelo d’aria e d’acqua, sospesa tra il reale e il fantastico, che risponde nel mito, nel ricordo e nel racconto.

Quando la ragazza della palude è estremamente debole ed indigente, fortunatamente riceve l’aiuto di alcuni, che però, guarda caso, sono anch’essi quasi reietti dal mondo del tempo lineare. E quando acquisisce l’autonomia, altri ancora, però, tentano di sopraffarla e acquisirle la vitalità, l’eccitazione e la propria affermazione. La palude e la ragazza sono i luoghi in cui l’inconscio di ogni personaggio emerge nei lati non visti e non espressi magari, volutamente celati, oppure strenuamente perseguiti.

All’inizio il romanzo assume uno stile quasi dell’ottocento, nel raffigurare una famiglia disgraziata, con l’abbandono di questa figlia. Dopodiché assume il tono di un thriller, fino a quello del mistero, passando per l’avventura della sopravvivenza, ma poi declina in una descrizione etologica di tutti gli esseri viventi, non fredda, ma partecipata e quasi compassionevole. Il lettore si ritrova a convivere con famigliarità in questo ambiente di più dimensioni temporali dove i mutamenti non si disperdono, ma si raccolgono in quella memora ciclica di nascita, crescita, mutamento che è la palude, con il suo ingresso che è il pantano: il luogo che risponde alle proprie inclinazioni. Dure, crudeli, di riparo, edificanti, in base agli angoli nascosti dei protagonisti.

È anche una storia indiretta del sud degli Stati Uniti, visti però da lontano, dove gli avvenimenti giungono sfocati, lenti, in punta di piedi e questi subiscono l’erosione dell’ambiente salino, salmastro, sornione della palude. La riposante umidità che ipnotizza, impigrisce, richiama, affonda, e fa naufragare le parole a una sola dimensione. Si riesce a muoversi e a vivere, solo se si ha la capacità di osservare la realtà e di comprendersi in più livelli interpretativi. I ruoli si moltiplicano nello stesso personaggio, connettendosi, però, attraverso contorni laschi e sfumati.

Violenza, delitto, amore, passione, fuga, tristezza, dolore, speranza, eroismo, generosità, tutto vi è un questo quadro che prende vita ogni volta che il lettore ha la spinta a percorrerlo. E lì quell’incrocio tra il fiume e l’oceano ad esprimere questa comunità piccola e modesta, ma universale tra l’angoscia della caduta, il timore dell’attacco, la speranza del guado, come è appunto la vita di una libellula d’acqua, cioè la ragazza della palude.

§CONSIGLI DI LETTURA: MONDI SENZA FINE

Mondi senza fine, 2023, Urania, Mondadori, Milano, di Clifford D. Simak (Autore), Davide De Boni (Traduttore)

Il volume contiene 4 romanzi di Clifford Donald Simak: “Oltre l’invisibile”; “City”; “Way Sation” e “L’Ospite Del Senatore Horton”. Sono contraddistinti da una narrativa immaginifica con un senso della meraviglia, che invita il lettore a espandere il suo orizzonte visivo nel cosmo, mentre ci si immerge nel profondo dell’animo umano.

Il cuore del singolo e l’infinito del cosmo che convergono in una domanda: “Perché io Esisto?” e “Cosa è l’umanità?”

Domande terribili, che, però, sono dispiegate in una narrazione fantascientifica, evocativa, pudica e discreta, con una poetica magica, che effonde una pacifica suggestione di rilassatezza e di buona disposizione a pensare l’incertezza.

È impossibile leggere questi romanzi in modo distaccato, perché l’autore esige la collaborazione e la compassione del lettore rivolta a tutte le creature viventi e a quella particolare manifestazione del cosmo che è l’uomo, anche nelle sue gesta violente e distruttive.

Vi sono domande radicali, cui il lettore non può evitare di interrogarsi. Nel romanzo “Oltre L’invisibile” è posto principalmente il tema della presunta superiorità e del diritto dell’essere umano di disporre di ogni essere vivente dell’universo.

59-60 “ […] «Per farla breve,» proseguì Stevens «siamo portavoce dell’idea che agli androidi dovrebbe essere garantita l’uguaglianza con il genere umano. Di fatto, sono umani sotto ogni aspetto tranne uno.» «Non possono avere figli»

[…]

«Migliaia di anni fa è stato cancellato ogni legame di schiavitù tra esseri umani biologici. Ma oggi esiste un altro tipo di schiavitù, che lega l’umano fabbricato a quello biologico. Perché gli androidi sono una proprietà. Non vivono come padroni del proprio destino, ma al servizio di una forma di vita identica alla loro… identica sotto ogni aspetto, tranne per il fatto che una è biologicamente fertile, mentre l’altra è sterile» […]”

203-204   Tutta la vita possiede un destino, non soltanto quella umana. Esiste una creatura del destino per ogni altro essere vivente. Per ogni essere vivente e anche di più. Aspettano che la vita accada, e ogni volta che si manifesta una di loro è lì, e ci rimane fino alla conclusione di quella specifica vita. Non so come, né perché. Non so se il vero Johnny sia alloggiato nella mia mente e nel mio essere o se rimanga semplicemente in contatto con me da 61 Cygni. Ma so che è con me. So che resterà.

“City. Anni senza fine” si compone di una sapiente architettura di racconti mitici circa l’esistenza della presunta “razza umana”. E qui si arriva alla definizione del ciclo della nascita e della morte di ogni età del mondo, e delle specie viventi in essa coeve. Il timore della memoria e della ricerca di senso di ciò che si è stati e dello scopo di ogni senziente è mostrato, in una riflessione dolorosa, sperduta, alla ricerca di almeno una rispondenza temporale della veridicità del proprio esser stati in vita.

622-624 “”[…] «Ci sono altri mondi là fuori,» stava dicendo Andrew «e in alcuni di essi c’è vita. E persino una qualche forma di intelligenza. C’è del lavoro da fare.» Non poteva trasferirsi nel mondo delle ombre in cui si erano stabiliti i Cani. Molto tempo prima, quando tutto era iniziato, i Webster se n’erano andati per far sì che i Cani fossero liberi di sviluppare la propria civiltà senza interferenze da parte degli umani. E lui non poteva essere da meno rispetto ai Webster, perché anche lui, dopotutto, era un Webster. Non poteva intromettersi nelle loro vite; non poteva interferire. Aveva tentato la strada dell’oblio, provando a ignorare il tempo, ma non aveva funzionato, perché nessun robot poteva dimenticare. Si era convinto che le formiche non avrebbero mai avuto importanza. Si era risentito per la loro presenza, certe volte le aveva persino odiate, perché se non fosse stato per loro, i Cani sarebbero stati ancora lì. Ma adesso si rendeva conto che tutta la vita aveva importanza. C’erano ancora i topi, ma quelli stavano meglio da soli. Erano gli ultimi mammiferi rimasti sulla Terra, e non dovevano esserci interferenze. Loro non ne volevano e non ne avevano bisogno, se la sarebbero cavata bene. Avrebbero forgiato da soli il proprio destino, e se il loro destino non fosse stato altro che rimanere semplici topi, non ci sarebbe stato niente di male in questo.

[…]

 Col tempo non ci sarebbe stata più nessuna casa, ma solo un tumulo d’argilla a contrassegnare il punto in cui in passato ne sorgeva una. Tutto derivava dal fatto di aver vissuto troppo a lungo, meditò Jenkins – aver vissuto troppo a lungo e non essere in grado di dimenticare. Quella sarebbe stata la parte più difficile: lui non avrebbe mai dimenticato. Si voltò e riattraversò la porta e il patio. Andrew lo stava aspettando ai piedi della scala che portava a bordo dell’astronave. Jenkins tentò di dire addio, ma non ne fu capace. Se solo avesse potuto piangere, pensò… ma i robot non potevano piangere […]”

“Way Station. La casa delle finestre nere” accoglie tutti noi in una sensazione di struggimento, nostalgia di amore, di una civiltà, del tempo, il passato e il presente, che si confronta con l’eternità, per venirne a patti. Il dilemma scaturito dalla consapevolezza che la mortalità ha le idee, i pensieri, la memoria, le aspirazioni, la fantasia.

Se diventassimo immortali, d’altro canto e se fosse impossibile cambiare il proprio sé rispetto ai tempi più lunghi imposti al proprio io e alla propria mente, ciò colliderebbe con la nostra specifica individualità: la nozione dell’<Io>. Simak suggerisce che il sottoscritto, voi, e ogni mortale che ancora deve nascere, ha dei limiti nella sua evoluzione.

Il dubbio che l’evoluzione trascenda la mia intelligenza: informa che io sono destinato a diventare un passato, ovvero una parte di ciò che avverrà, o semplicemente di comporsi in un magma che sprofonda nell’oblio.

La volontà di sopravvivere, mantenendo la memoria e la biografia del proprio animo, nella sua tensione di espandersi verso il tutto, ha la sua evoluzione in una sublimazione in un futuro che ingloba il passato.

Il mortale, quindi, ha come suo elemento costitutivo la perenne oscillazione di senso tra l’oblio e la negazione della realtà come altra da sé. Si rimane quindi imprigionati in questo dilemma, avendo la tentazione della scappatoia verso la morte. Con il terribile timore che l’eternità  possa soltanto promettere l’angoscia del fallimento.

Certamente Simak non pensava nel modo in cui il sottoscritto sta radicalizzando i suoi intenti e la sua poetica, ma egli è un grande scrittore che supera il genere della fantascienza, perché i suoi romanzi sfuggono dalle sue stesse premesse e intenti. Diventano dei classici. Acquisiscono una vita propria e si nutrono del fascino e delle sensibilità del pubblico che sopravviene nel tempo e nei luoghi ulteriori a quelli di riferimento all’atto della pubblicazione dello stesso autore.

I suoi romanzi hanno un lirismo poetico, una struttura mitica, una passione commovente nel cercare un abbraccio di consapevolezza circa i propri dilemmi, verso qualunque essere umano, anzi oltre esso: qualsiasi forma del vivere.

Sono il protagonista del mondo? Certamente i valori, i criteri della verità sono tali, coerenti e adeguati entro la mia specie, che si vede unica e il resto dell’universo un residuo. Mi concedo, quindi, il lusso di guerreggiare e distruggere. Ma l’intelligenza e l’idea dell’anima, questo mio “io” e “destino” correlato, sono i punti insondabili di ciò che è la rappresentazione del mondo. Oppure ne sono un epifenomeno tra i tanti? E quindi ancora la nozione del vivere e la rappresentazione di esso, nei modelli di vita, non potrebbero essere di più e diversi da noi?

L’insignificanza, ancora prima dell’oblio, comporta in questi romanzi, dalla paura della supremazia del primo romanzo, a quella della estinzione del secondo, al terrore della propria insignificanza nel terzo, la percezione dell’abisso e nel contempo la visione di una prospettiva più ampia dell’universo. Fino alla irresistibile richiesta di un perché della realtà nel quarto romanzo “L’ospite del senatore Horton”.

E qui che vi è il poetico e lo struggimento, perché Simak utilizza la vastità delle galassie per mostrare la periferia infima del nostro settore dell’universo e noi in esso, ma offrendo, con questa amara consapevolezza, un arricchimento del proprio vivere, qui ed ora.

È impossibile che noi non ci si possa porre le domande sul nostro senso dell’essere, del luogo, e dell’anima, nonostante che l’insensatezza sembra essere l’unica conclusione.

Eppure nei romanzi si mantiene un filo di speranza nel mantenere la memoria e una costanza di comprensione, ove il luogo è una semplice, pudica, ma universale compassione, forse anche al di là della volontà dell’autore. Tra i monologhi interiori, le domande retoriche, i picchi drammatici, le scene d’azione, sublimano in un lirismo in cui il proprio dolore di una nostalgia di ciò che non è mai accaduto e di ciò che da sempre fu impossibile sperare, rivela la capacità infinità di subire la sconfitta della morte, mantenendo l’attitudine a cantare e a poetare della propria condizione, tra il ritmo della caduta ultima, al verso stilistico dell’insignificanza.

L’accoglienza del dolore invita alla lettura, al richiamo, all’acclamazione di un segno di speranza all’infinito, in uno spiraglio di insensatezza eterno, tra gli spazi e i millenni.

I romanzi sono contraddistinti da una iniziale descrizione dell’eroe che, in primo luogo, esce fuori dalla comunità. È il deviante. Chi per il tempo, chi perché deve compiere una impresa per conto di potenti organizzazioni, ovvero quelle che costituiscono la trasfigurazione del “grande padre”. L’eroe intuisce il mistero, e in quell’istante diventa il pericoloso deviante.

L’uomo che viaggia nel tempo. Il mutante con i tre corpi. L’uomo immortale. Protagonisti solitari al limite del crimine e della follia. Ogni loro individuazione è aiutata dalla donna “Beatrice” che assume il ruolo di una guida, che offre un luogo, una risorsa, una parte umana di sé che riaffiora. Ella è sempre la figlia di un padre che è l’autorità, che dipende da quella organizzazione dove il protagonista ha avuto lo scopo e la missione. Ma che ritorna contravvenendo agli scopi iniziali.

Il deviante consegna un messaggio che rende insensato lo scopo iniziale e quindi la stessa organizzazione, ovvero la specie umana. La nazione che si crede la più potente. La razza umana che si crede di dominare le altre. Di essere unica. La razza umana che pretende la galassia. Ognuna di queste trame della follia, diventa arcaica, una facezia, un soffio d’aria dileguante.

Simak si interroga sul messaggio religioso del mistero. Non è un caso che gran parte dei nomi dei personaggi hanno riferimenti a caratteristiche di virtù, di inclinazioni, di debolezze, di luoghi che hanno avuto significati storici e religiosi. Tali assonanze sono poste in corrispondenza con le capacità, le attitudini, le capacità fisiche, e l’aspetto. Attraverso i termini scientifici, usa i miti medioevali, traslati in altri tempi, in altri mondi. Il mostro, il lupo, la minaccia del pericolo, e del male, che è proiettato fuori e che forse è dentro di sé. L’eroe difende i più deboli, e quindi cerca la parte più debole di sé.

È la canzone dell’eroe che cerca il Graal, tuffandosi nella realtà. Il protagonista sopravvive se la sua visione del mondo volge nel pietismo, nella compassione, e nell’accettazione dei limiti. È il messaggio morale nascosto di Simak forse a lui stesso non esplicito, ma che si trova nei decenni traslato in sempre nuovi romanzi.

§CONSIGLI DI LETTURA: STARPLEX

Starplex, di Robert J. Sawyer (Autore),
Mauro Gaffo, Traduttore, Urania, 1996,
Mondadori, Milano

“Starplex” è un crocevia di luoghi classici della fantascienza in ordine ai temi dei viaggi interstellari, alla natura delle leggi della relatività generale, e al destino degli esseri viventi e dell’intero universo, all’interno di un processo di acquisizione di conoscenze, attraverso gli stimoli e le domande che vengono calibrate dagli impieghi tecnologici.

È anche una riproposizione dei grandi afflati di democrazia, di apertura, di approccio con lo straniero e le culture “altre”, tipici degli anni sessanta, individuati da saghe come “Star Trek” e non è un caso il rimando indiretto del titolo del libro.

Le produzioni di fantascienza proiettano le storie e i conflitti individuali e sociali tra singoli e interi agglomerati statuali al di fuori del pianeta Terra, in luoghi in cui risiedono umanoidi o forme di vita radicalmente diverse che hanno però, comunque un nostro tratto tipico di comportamento e di valori, che induce a una relazione conflittuale e/o di collaborazione. Le vicende che avvengono tra le entità senzienti sono poi tradotte in avventure con un climax tale da indurre inconsciamente, e non, al lettore una valutazione morale ed etica delle questioni che riguardano direttamente il nostro vivere.

Se il modo di vedere l’esterno è quello di un confine di guerra, allora ogni forma d’intelligenza è un nemico, e quindi estendiamo la nozione di pericolo all’intero cosmo. La ricerca di cibo, di energia, di ambienti adeguati atti alla prosecuzione della nostra specie, si allarga a quella di ambienti interplanetari per arrivare a quelli ultra galattici.

Dalle tensioni derivate dalla volontà di acquisire il potere, di soddisfare i bisogni primari e quelli più evoluti, si esprime una dinamica di scontro e di dialogo tra le diverse razze e forme di vita al limite dei nostri parametri di loro riconoscimento.

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“Starplex” però offre un passo ulteriore di approfondimento che dalla iniziale antica domanda sul “chi siamo noi” umani su questa Terra e su questo Cosmo, e quindi nelle due divaricazioni tra l’origine e lo scopo, la si estende a porre tale questione a forme senzienti tremendamente più antiche e potenti, fino poi a porre in questione il destino dell’intero universo.

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Il tema è sviluppato nel corso della prosecuzione degli avvenimenti. E pone, quindi, dilemmi morali che riguardano noi terrestri, oggi, qui, sul pianeta Terra. Robert J. Sawyer è un canadese come gli altri suoi colleghi coevi sente il bisogno di indagare il tema del riconoscimento delle minoranze, delle culture altre, e di una convivenza aperta e reciprocamente fruttuosa. Ciò deriva dalle condizioni storiche, politiche e statuali della loro nazione di residenza. È opportuno precisare che l’autore non propone facili soluzioni che esortino a un vivere dove tutti si vogliano bene, in un mondo incantato costituito dalla collaborazione e convivenza stretta senza porsi in discussione ed affrontare il sistema dei valori e delle conoscenze in cui si è inseriti. Tale necessità non deriva da una adesione semplicemente volontaria e di abnegazione ma di una riflessione razionale per la quale, l’assenza di una volontà di condividere le risorse e le conoscenze, porterebbe comunque alla estinzione di ogni presunto contendente.

L’autore ha studiato in modo approfondito di astronomia, di meccanica aerospaziale di teoria della relatività. Il romanzo descrive scenari verosimili, pur all’interno di alcune ipotesi fantascientifiche. Tutto però è descritto in modo coerente, con azzardi ben congegnati e adeguatamente descritti. La lettura è anche un’occasione per comprendere le nostre nozioni riguardo la velocità della luce, la materia oscura, i modelli di descrizione dell’espansione o meno indefinita dell’universo, la struttura delle galassie, e infine l’uso della variabile temporale in un’ottica in cui il limite costante della velocità della luce sia posto in discussione.

È veramente immaginifico e nutre la creatività del lettore spingendolo ad immaginare scenari in cui si possa veramente trovare nelle situazioni dei protagonisti.

Il perno fantascientifico è relativo ai salti interstellari causati da una rete di scorciatoie artificiali che costella la Via Lattea e non solo. Ed è qui un punto focale che abbisogna di chiarire, perché gli stratagemmi del salto, del passaggio, del tubo magico, della singolarità che sono usati in innumerevoli racconti di fantascienza si basano tutti sull’idea di poter aggirare il limite della velocità della luce e quindi di uscire fuori dalla concavità del cono spazio temporale, e quindi considerare lo spazio come un punto e il tempo anche con una misura negativa, che comporta la possibilità, quindi viaggiare nel tempo.

Parliamoci chiaro: non è solo una questione di impossibilità tecnologica o di una mancanza di una teoria scientifica attualmente oscura. All’interno del paradigma relativistico in cui pensiamo, per viaggiare alla velocità della luce, o addirittura superarla, ci vorrebbe una quantità tale di energia che ammonterebbe a quella di tutto l’universo.

In un’ottica ipercritica si potrebbe considerare tale ipotesi abusata, pigra, di maniera, ma non se ne può fare una critica eccessivamente spinta all’autore, anche perché non sarebbe più un libro di fantascienza. A suo merito però si pone l’intenzione di discutere di tale natura di salto e di porre una spiegazione plausibile non tanto verso le relazioni dello spazio-tempo, quanto invece, sull’analisi della continua dilatazione dell’universo stesso in rapporto alla materia oscura. Ecco qui l’autore descrive ipotesi interessanti, pregevoli, coerenti rispetto alle ipotesi immaginifiche iniziali, ma coerenti rispetto al nostro bagaglio teorico effettivo.

Non descrivo in modo compiuto la trama e alcune vicende, perché il romanzo è denso di sorprese, e toglierei il piacere della lettura al pubblico. Posso soltanto suggerire alcune questioni di fondo che pone il libro, per chi volesse rifletterne in modo più approfondito:

  • Poiché l’universo ha più di 14 miliardi di anni, siamo così sicuri che la sua evoluzione è volta ad adempiere a uno scopo predefinito quali la creazione degli esseri viventi che hanno di base il carbonio e quindi giungere alla razza umana? Siamo davvero noi il picco della piramide evolutiva?
  • È proprio necessario reagire in modo automatico al sopruso, all’attacco violento, o a una azione di ostilità interstatuale? Non si può lasciar correre? Non accettare lo schema di azione e di reazione? Non è meglio invece rispondere in modo asimmetrico cercando invece la collaborazione, anche tenendo ferme le proprie possibilità di difesa? In altri termini, è proprio necessario che gli inevitabili conflitti che intercorrono tra forme aggregate debbano sfociare poi in azioni che abbiano sempre le etichette dell’odio e della rabbia

È un romanzo che fa respirare l’aria di montagna: fresca, tonda, e vivificante. Un’avventura verso noi stessi e le domande sul nostro destino.

Sia una meraviglia di lettura.

§CONSIGLI DI LETTURA: Tutto Sherlock Holmes di Sir Arthur Conan Doyle

Tutto Sherlock Holmes di Sir Arthur Conan Doyle
(Autore), Nicoletta Rosati Bizzotto (Traduttrice),
2010, Newton Compton Editori, Roma

Perché Leggere i romanzi e i racconti con Sherlock Holmes oggi? I testi di critica sono riprodotti su decine di chilometri di biblioteche. Le sue opere sono tradotte in una quantità sterminata di scene teatrali e successivamente di trasmissioni cinematografiche e televisive. Oggi le sue trame sono una costellazione lattea di figure topiche e in modi di dire.

In particolare per chi è più giovane ed è nato a ridosso della fine del 1900, è illuminante la lettura di tutta l’opera di Conan Doyle riferita a Sherlock Holmes per rilevare gli usi e i costumi del periodo, in un’ottica antropologica e comparativa. Molti dei termini e dei giudizi attribuiti alle persone, alle razze, ai rapporti con le divinità e le autorità, per noi, oggi, sarebbero considerati razzisti, orrendi, settari, sciovinisti, di un maschilismo millenario ordalico.

Lo stesso Sherlock in particolare nei primi racconti degli anni ottanta del 1800 era introdotto nelle sue fasi ciclotimiche di depressione, iperattività, fissazioni ossessive sui casi, o sulle sue ricerche di botanica, di chimica, di medicina, fino alla compilazione frenetica di informazioni quotidiane, in gran parte gravitanti in fatti luttuosi, disastrosi, criminosi.

Indagava in modo compulsivo con travestimenti e con stratagemmi in cui simulava anche eventuali malattie e stati prossimi alla morte, pericolosamente vicini alla realtà. Era un oppiomane e cocainomane, dipendenze poi sfumate nei racconti dopo il 1900 da parte dell’autore attraverso Watson, che in qualità di medico lo convinse ad abbandonare tali abitudini.

Oggi Sherlock Holmes sarebbe appellato con una lista poderosa di patologie psichiche e comportamentali. Watson, dapprima militare ferito, dipendente anche lui dalla morfina, poi sposato con una protagonista dei racconti, ma via via dimenticata, e quasi come se nulla fosse, egli ritorna a vivere con Sherlock. Consapevolmente o no, i due ripropongono la coppia degli eroi complementari, che, per rimanere entrambi protagonisti, e non assumere una inevitabile deriva antagonista, hanno abilità e deficienze, ognuna negativa dell’altra in modo tale che possano essere congiunte. Tale dialettica infinita che si avvita a spirale, è il motore che permette la prosecuzione del racconto.

Vi è una ripetibilità che parte da una scena di tranquillità omofila, in un rapporto tra i due, che oscilla tra il cameratesco, alla schietta amicizia, alla irritabilità di una coppia di lungo corso, ad un affetto dapprima paterno-filiale che si inverte a seconda dei racconti. Watson continua a svolgere la sua funzione di medico, e anche se nella tradizione appare come quello meno dotato, in realtà è un elemento necessario per Holmes in quanto, svolgendo il ruolo di cassa di risonanza, permette ad Holmes di svolgere in modo lineare le sue ipotesi per tradurle in un resoconto che ricostruisce gli eventi tragici nel loro svolgimento, nelle loro cause, determinando quindi la tipologia di reato e la gravità rispetto agli attori coinvolti.

Sì, i due protagonisti mutano comunque in decenni di racconti le loro caratteristiche, non solo perché il loro autore avanza di età negli anni, ma per lo stesso pubblico borghese che si espande, e richiede, quindi, una lettura sempre più vorace e frequente, anche per la maggiore reperibilità dei tabloid che fornivano pagine ulteriori dei racconti, dapprima pubblicati in edizioni più economiche per la relativa stampa e diffusione con strumenti tecnologici sempre più efficienti ed innovativi.

Comparvero in quei decenni sensibilità democratiche più spinte e istanze di piena partecipazione al vivere quotidiano, ed istituzionale di parti della popolazione sempre più ampie. E ancor di più del pubblico femminile che, in Inghilterra, non era più inscritto nel dominio dei romanzi d’amore in senso classico, in cui la protagonista subisce le intenzioni dell’eventuale amato e che risponde solo per reazioni ad una trama precostituita e a lei esterna. No: non è un caso infatti che nei racconti più maturi, le donne via via assumono un tono da protagonista, e non più da vittima, anche in quello di eroina negativa, ma non perché indotta da una sua deficienza emotiva, o da una moralità infima, ma per le sue capacità, volte al male e alla delinquenza.

Vi è molto dell’autore e della sua biografia nei due protagonisti. Tante abitudini e modi di vedere la realtà, appartengono a Conan Doyle, il quale fu un giornalista abile, uno scrittore che si interessò di scrivere di storia, appassionato di ogni novità scientifica, che in quei tempi esplodeva nei campi dell’archeologia, della biologia e della medicina. Avvertiva, anche per le sue esperienze di guerra e di viaggi in tutto il mondo, i punti di vista che l’antropologia culturale e l’etnologia offrivano nel comprendere i singoli e i gruppi sociali.

Questi racconti sono utili anche nel capire la tecnologia del periodo, la scansione del tempo che misura gli spazi attraverso le carrozze cittadine, i treni a carbone, la potente elettrificazione che nei primi racconti è assente, e quindi connotata dalle candele, per arrivare poi alle prime case illuminate. Dove ancora la prima fonte di calore è quella del caminetto, e si parla di borghesi quasi benestanti. Non è un caso che si fanno riferimenti alla cena fredda. Riscaldare le pietanze costava. E si cucinava una volta sola e per più piatti. Quindi ancora le soprascarpe e gli immancabili soprabiti da casa e le vestaglie per ripararsi dal freddo e per non sciupare i vestiti per uscire. Le strade erano piene di fango e di sporcizia. Tracce che Holmes rilevava per comprendere l’origine e le attività dei suoi interlocutori.

Il brandy era considerato una medicina, come pure il fumare i sigari e le pipe. La mole dei dati giornaliera aumentava ogni giorno. Non è un caso che Holmes cataloga eventi, scoperte di nuove specie, denominazione di nuovi composti rocciosi, specie batteriche, floreali, fino a quelle delle alghe marine. Noi con i nostri personal computer, e archivi digitali, per lo studio, il lavoro, il diletto, per diario, per hobby e anche per dati inutili che mai approfondiremo, siamo come loro.

Ecco il punto, e questo vale per chi è più anziano. Anche se la maggior parte dei quarantenni in su, non ha mai letto alcunché di Conan Doyle, però sicuramente avrà visto migliaia di film, ore di telefilm, vissuto in modo di dire, e assorbito una mentalità inconscia deduttiva, catalogante e calcolante, che Sherlock Holmes e anche Watson applicavano per conoscere, orientarsi nel mondo e risolvere i problemi, nella fattispecie ricostruire i casi.

Non vi era una eccessiva condanna morale di coloro che perseguivano i reati, affinché il pubblico borghese leggesse in modo più disteso, senza subire una pericolosa identificazione, nel rilevare i tic e le miserie morali degli eroi negativi. Da bravo artigiano cronista, giornalista, indagatore quale era Conan Doyle, attirava l’attenzione del pubblico meno acculturato e più facile alla distrazione, attraverso l’uso dell’ironia, dell’offerta di situazioni ridicole di contorno.

Compare allora il canone del “giallo” che si distacca dall’orrorifico, dal demonio e al conseguente annichilimento tragico di tutto e di tutti. Nella lotta laica tra il bene e il male del racconto “giallo”, tutto ritorna e deve essere ricomposto in una ripartizione di giustizia retributiva e proporzionale. L’ordine riporta la realtà, non la sublimazione dei protagonisti in figure implete. Ed ecco allora la ripetibilità della trama: la lotta diventa un rito, dove il mistero si presenta per essere svelato.  

Il racconto “giallo” londinese è quello della nebbia, in particolare mista anche allo smog che la faceva da padrone in quegli anni. La cronaca nera, lo scontro titanico tra l’autorità e il delinquente, il bene e il male, porta al mutamento radicale di tutto, e invece qui, lo scontro è interno al mondo, che è stabile, che muta e cresce. Il giallo quindi è la mancanza di conoscenza, di un percorso, di un perché degli eventi, di una ricostruzione di ciò che è appena accaduto. Ma si è sicuri, comunque, che tutto ciò esiste ed è razionale, e può essere ridotto in concatenati e logici elementi: “Elementare Watson”.

Il racconto “giallo” quindi determina una dialettica del racconto tra gli antagonisti che è volta ad una conclusione in cui la nebbia dirada, e quindi si ritorna all’evento accaduto, o quasi da compiere, inquadrato, nel come, quando, dove. La trama assume le vesti di una cronaca giornalistica, e di un perché (il livello giudiziario). Alla lunga è accomodante per il lettore, e induce alla pigrizia, ma non si è il caso di attribuire noi giudizi severi, perché il risolutore di cruciverba cosa fa? Chi guardia serie televisive simili? O chi legge saghe e cicli di libri dove già si intuisce un finale, come nelle attuali saghe “Fantasy”?

Saremmo ingenerosi, se inscrivessimo quest’opera soltanto in uno stratagemma innovativo per attirare i lettori. Vi è molto di più: questi racconti contribuiscono a creare uno stile moderno e per noi contemporaneo di ciò che definiamo borghese e laico, determinando inoltre l’apertura letteraria ed estetica alla donna in quanto soggetto senziente, sempre più lucido, e calcolante. Fattori per niente ammessi nei periodi indicati.

Arthur Conan Doyle è uno scrittore moderno perché apprende in tempo reale il complesso dei mutamenti che via via emergevano tra le tecnologie della produzione dei testi, la loro diffusione e fruizione, rispettivamente per quote sempre più ampie e diversificate del pubblico. Sperimenta una tecnica che diventa una nota distintiva del suo stile nel coinvolgere il lettore nel suo racconto, richiamando la sua attenzione, dialogando negli intermezzi della trama, per riannodare i fili e spiegare alcune azioni dei protagonisti e anche semplici modi di fare. Il tutto richiamando racconti precedenti in cui Watson a sua volta ricorda di averne scritto di queste avventure già accadute.

Insomma avviene un gioco degli specchi, in cui l’autore usa i racconti precedenti, richiamati dallo stesso Watson, che, a sua volta, in qualità di curatore del diario delle avventure e di sue pubblicazioni per il suo pubblico che è all’interno del racconto, delinea la biografia itinerante di questa relazione tra i personaggi e l’autore. Le avventure di Sherlock Holmes agiscono in modo centripeto, risucchiando la città di Londra, l’Inghilterra, l’Europa, nel cavallo di due secoli.

Più volte Watson scrive che Sherlock è morto, per poi rivelare che è uno stratagemma per le sue indagini, oppure scrivendo un altro racconto in un tempo traslato in quello dell’avvenimento che appare sempre più sfumato. Così Conan Doyle dichiara di voler smettere di scrivere di loro due, eppure nei decenni ci ritorna, con un tono sempre meno avventuroso e più lirico, per raggiungere le spiagge del mito, in cui le gesta sono collocate in luoghi atemporali, e senza più omicidi, in cui il mistero, il problema diventa il vero protagonista: la mentalità razionale e l’approccio di indagine sperimentale.

§CONSIGLI DI LETTURA: LA BRIGATA DEI BASTARDI.

La Brigata dei bastardi. La vera storia degli
scienziati e delle spie che sabotarono
la bomba atomica nazista, di Sam Kean,
Traduzione di Luigi Civalleri,
La collana dei casi, 2022, Adelphi, Milan
o

Prima ancora della trasmissione nei cinema del film “Oppenheimer” del 2023, questa ricostruzione storica in forma di romanzo, è sorprendente nel rivelare il gran numero di persone coinvolte, alcune impensabili, e altre dimenticate. Vi è un’ottima documentazione che parte dagli archivi dei servizi segreti delle nazioni che furono coinvolte nella seconda guerra mondiale.

Tutto ciò che è accaduto è reale. Personaggi, biografia, avvenimenti, avventure, esperimenti, vita privata. Persone famose come i ragazzi di Via Panisperna, la famiglia Curie, sportivi famosissimi un secolo fa, tutti, agirono per non permettere ai tedeschi di sviluppare la bomba atomica. Chi agì come una spia, chi intraprese attività di guerriglia durante il conflitto, chi, da lontano, accelerò nelle ricerche per nuove scoperte scientifiche.

Il libro ha una struttura di un romanzo con una grande quantità di protagonisti, l’uno ignaro dell’altro, ma tutti agenti in modo corale lungo gli anni. E sebbene la struttura narrativa dia l’impressione che sia immaginifica, in realtà le vicende narrate, sono tutte ben documentate, anche dagli stessi attori, mentre erano ancora in vita.

È un libro che trasforma resoconti di ciò che accadde in un insieme di storie parallele avvincenti che non inventano alcunché, perché la Brigata dei Bastardi fu un accrocco simile a una sporca dozzina composto da campioni sportivi, premi Nobel per la fisica, agenti segreti improvvisati, esuli militari e politici dalla unione Sovietica, e dalla Germania nazista, nonché dall’Italia fascista.

Alcuni mesi prima dell’inizio della seconda guerra mondiale in Europa e negli Stati Uniti cominciò a esser sempre più viva la preoccupazione che la Germania Nazista stesse compiendo velocemente la capacità di ottenere energia atomica atta per un a riconversione di tipo militare.

Tra alti e bassi di costituirono nuove organizzazioni di spionaggio coinvolgendo personaggi famosi alcuni, oscuri altri, diversissimi tra loro, ma consapevoli del pericolo.

Le vicende coinvolsero anche chimici e fisici che decenni prima scoprirono alcune leggi relative al comportamento fissile di alcuni elementi chimici e le correlative ricadute in ambito fisico. Mancava una concreta possibilità di applicazione ingegneristica. Adolf Hitler diede una sveglia a tutti.

Le letture in cartaceo o in formato digitale dovrebbero essere accompagnate da ricerche su web in contemporanea alla presentazione dei personaggi, e al richiamo di nozioni di fisica e di chimica. È un ottimo indicatore per approfondire conoscenze reperite distrattamente e in modo forse episodico negli anni, ma anche per recuperare il nostro passato. Sì, in questo libro ritroviamo noi stessi, perché tutti costoro sono stati la nostra storia. Hanno determinato indirettamente paradigmi di opinioni con le quali ancora oggi, tentiamo di valutare ciò che intorno ci accade.

Da segnalare le chiarissime spiegazioni relative ai processi fisici che portarono alla fissione nucleare.

Commoventi sono state le biografie di resistenza dei Marie Curie e di sua figlia, anch’essa valente scienziata Irène Curie con il suo marito, altro premio Nobel, Frédéric Joliot, il quale divenne poi un capo segreto dei partigiani francesi.

Le vicende dei nostri ragazzi di Panisperna, da Enrico Fermi a Edoardo Amaldi, e di come cercarono ognuno a suo modo di mantenere l’umanità e di resistere contro la barbarie.

Irresistibili le vicende di Moe Berg, la spia più improbabile, ma incredibilmente letale contro la Germania, il campione di Baseball, poliglotta, gran affabulatore, mestatore, irrecuperabile spendaccione, fuori da ogni regola. E non si può non sospettare che sia stato l’ispirazione per migliaia di film di spionaggio del dopoguerra.

Senza contare il Generale Leslie Groves e i suoi collaboratori: dei veri e propri “bastardi”. E vi sono anche le vicende di coloro che affrontano pericoli consapevoli di poter morire da un momento all’altro, come Joe Kennedy Jr, fratello maggiore di John e Robert Kennedy.

E naturalmente ai dubbi, e ai nuovi problemi morali conseguenti, perché conoscenze così imponenti nei loro possibili ambiti di applicazione, comportano nuovi paradigmi interpretativi su ciò che è la responsabilità relativa all’uso della conoscenza. Ad esempio, tra i tanti, il chimico Otto Hahn e il fisico Robert Oppenheimer che portarono un dolore infinito per tutta la loro vita, a causa dei complessi di colpa. E si rimane, forse per l’opinione pubblica di bassa lega, dalla quantità di scienziate che contribuirono alla ricerca e alla resistenza contro tutto e tutti, ad esempio Lise Meitner.

E però, si provano grandi turbamenti sull’animo umano che ha una doppia faccia. Un cuore pieno e generoso che però nello stesso tempo, ha lati oscuri e riprovevoli, come il premio Nobel per la fisica Werner Karl Heisenberg che rimase a lavorare per i nazisti fino alla fine. Che ebbe la convinzione di salvare la scienza e la ricerca comunque anche in Germania, nonostante e contro Hitler. Colui che assieme ad altri suoi collaboratori, si diede da fare per salvare di nascosto tantissimi ebrei, organizzando una struttura operativa per farli fuggire dalla Germania. Colui che durante i bombardamenti degli alleati, si comportò eroicamente per salvare individui sconosciuti dagli incendi e dai crolli dei palazzi, rischiando in prima persona, mentre un momento prima parlava di come inventare nuove soluzioni per costruire una bomba atomica a servizio della Germania. Colui che non aiutò a salvare i genitori di un suo amico che lo favorì tantissime volte, fisico come lui, ovvero Samuel Abraham Goudsmit.

Vi è un campionario di varia umanità ricchissimo, inesauribile di spunti. Irritante e ammirevole nello stesso tempo. Leggendo il libro è impossibile non immedesimarsi con questi personaggi, perché sono il nostro specchio. Sono proprio come noi.

§CONSIGLI DI LETTURA: SPINE

Spine di Franci Conforti, 2022,
Serie Urania, Mondadori, Milano

La Spina che ci mette in gioco: il pungolo del dubbio che corrode l’equilibrio precario tra ciò che siamo negli ambienti antropici ed antropizzati. Il mutamento di prospettiva del nostro vivere, e dei suoi significati allegati, ferisce appunto quando si è troppo sicuri di afferrare il senso di tutto, bello e buono, come una rosa, dimenticando poi che il suo sostegno graffia e ferisce.

Talvolta però il disagio momentaneo può essere un farmaco che ci avverte di pericoli meno ambigui, ma tremendamente minacciosi.

Franci Conforti ha deciso di scrivere romanzi dopo decenni in cui inventava storie soltanto per sé. È una biologa, accademica e giornalista. Non è un caso che abbia avuto negli ultimi anni ripetuti riconoscimenti nell’ambito della fantascienza “hard”, cioè quella tecnologicamente verosimile ed accurata.

L’essere umano è definito anche dalla tecnologia e riformula la sua posizione in base alle scoperte scientifiche. Le spine ci avvertono istintivamente del fastidio e del dolore. Comportano il segnale che l’ambiente circostante non è una semplice propagazione di noi stessi. La spina respinge oppure si conficca. È un limite rispetto al nostro spazio di azione ritenuto neutro, quindi vitale, perché minaccia l’equilibrio in cui il nostro volume d’esistenza è ritenuto integro.

La spina è anche una increspatura rispetto a una regolarità estetica di modelli che intendono descrivere il mondo o determinarne lo sviluppo nel tempo. È un sovrappiù estraneo rispetto ai nostri scopi: un cruccio che sgretola la (in)certe convinzioni.

Oppure ancora, le spine sono avamposti di organismi tentacolari che mirano a disporre del nostro organismo. A un livello più istituzionale, sono associazioni o clan che, in forma parassitaria, perseguono l’obiettivo di detenere la corteccia della società, per assorbirne la linfa vitale. Ed è il caso di questo romanzo che, però, non esclude, ma ingloba le definizioni fin ora scritte.

La storia è ambientata tra il pianeta Marte, la Terra e vari satelliti. Vi è una descrizione accurata degli ambienti astrali. Il valore aggiunto emerge dalla creazione di ecosistemi in cui convivono flore e faune che hanno avuto una lieve traslazione intorno alla propria specie. Infatti, emerge un potenziamento delle possibilità riproduttive e di adattamento con una notevole variazione intraspecifica per lo sviluppo delle applicazioni delle scoperte della genetica.

Il libro è fecondo di applicazioni quasi vicine alle possibilità di impiego odierne. È un libro di avventura. Le relazioni tra i protagonisti sono ben disposte in azioni che permettono la presa di conoscenza e di acquisizione di nuove abilità. I picchi dei climax sono ben distribuiti tra confronti intellettuali e violenti.

Vi è una strabordante e immaginifica offerta di nuovi equilibri ecologici. Gli alberi diventano loro stessi città viventi. I conflitti sociali comunque vi sono sempre, ma ecco che le disparità economiche, cognitive e giuridiche, sono accompagnate da nuove stratificazioni di popolazioni geniche.

Vi è la volontà di potenziare le facoltà che riteniamo proprie dell’essere umano, e di gestire la gamma delle emozioni e dei sentimenti. Tutto ciò è impiegato anche verso le altre specie viventi, con le quali interagiamo in modo inedito.

Vi sono dibattiti evocati in modo trasposto in ordine ai diritti che oggi riteniamo urgenti per tutte le specie viventi, che perseguono il riconoscimento di nuove forme di soggettività. Umani, mammiferi, uccelli, rettili, alberi, fino alle alghe, hanno voce in campo per rivendicare una possibilità di esistenza più libera e concreta. Si afferma il compito di ridefinire una nuova forma di cooperazione e quindi anche di conflitto, con la speranza di ottenere un’ulteriore consapevolezza, rispetto alle domande che ogni senziente si pone rispetto al mondo, al futuro e al senso dell’esistenza.

77-78 “[…] Lady Tuarna Fortemare era docente di storia evolutiva comparata. «Quale lezione?» «Ah, qui sulla Terra ancora si crede alla fola che gli animar li abbiamo importati dalle colonie spaziali quando, invece, i protoesemplari sono terrestri. Diciamo tra il 2040 e il 2050. Fino a quel momento i nativi selezionavano gli animali in base alla razza, non all’intelligenza. Eppure l’elemento che penalizzava maggiormente la convivenza erano, non ridere eh, le deiezioni. Tenevano in casa solo cani e gatti perché erano capaci di controllare queste funzioni. Cassette con la sabbia e guinzagli per portarli a fare i bisogni in strada, bisogni che venivano raccolti dai padroni e messi in appositi cestini legati ai pali della luce. Te lo immagini?» Mi fermai a guardarla. «Non ci credo…» Mi prendeva in giro? «Credici. Senza tener conto che in quegli anni scoppiarono alcune epidemie che costrinsero la gente in casa. Il numero degli animali di affezione prima crebbe, poi crollò e bastonò l’intera filiera produttiva. Così le grandi aziende si misero di buzzo buono a selezionare tenendo come parametro l’intelligenza. Migliorarono le aree logico-verbali, fecero qualche ritocchino usando tecniche prebiomiche, come la CRISPR. Fu una corsa all’oro. Gli animar cominciarono così e poi furono usati nello spazio: come cavie, come produttori di cibo, come bassa manovalanza in ambienti ostili. E nello spazio si sperimentò senza troppi vincoli etici fino a ottenere gli animar attuali. E ora si buttano, perché si è trovato di meglio: i friendz. Non mangiano, non sporcano, li aggiusti solo se ti va e li accendi quando ti pare…» […]”

78-79 “[…] Arrivammo all’IZA. Muro di mattoni rossi e scritta in avorio bianco che brillava la sole. PRIMUS INTER PARES, e subito sotto spiccava una frase del fondatore: ERA PREVISTO CHE GLI ANIMALI DIVENTASSERO INTELLIGENTI. L’EVOLUZIONE HA USATO L’UOMO COME SCORCIATOIA. KLK «Già» disse Tuarna, «Era previsto, Ken Lonel Kon lo scriveva nelle prefazioni di ogni suo saggio. Quello che non era previsto era il tradimento. Che proprio noi evoluti cominciassimo a considerare gli animar come strumenti superati o una tappa pseudoevolutiva che si poteva lasciare indietro. Cancellare. E poi? Chi ci si toglie dai piedi? I nativi? E per cosa? Perché edificare un mondo tutto bellino e precisino? Suvvia, non diciamo eresie! Venite, qui animar e nativi sono i benvenuti.» […]”

Lo stile è contraddistinto da fasi di spiegazioni scientifiche chiare e ogni tanto da un intercalare da parte di alcuni protagonisti che richiamano dialetti fiorentini, assieme ad alcuni idiomi del nord Italia. Ciò è spiazzante e divertente. Le vicende non sono piatte, ma vive. Le emozioni sono forti, contraddistinte da odori e colori intensi.

Si presti attenzione comunque a ritenere che il romanzo sia una sorta di manifesto ecologista per il quale l’uomo è cattivo e brutto, perché vìola il paradiso dei biomi della Terra e degli altri pianeti. No, no. Gli ecosistemi, tutti, sono umani. La natura, invece, è infinitamente eccedente a ciò che è l’orizzonte di significato. Nelle sue manifestazioni indirette non è un luogo univocamente benevole, dolce e delicato. I viventi che richiedono una loro dignità non sono angeli.

Questo romanzo è un’ottima occasione per riflettere riguardo a concetti che pigramente diamo per scontati nel loro significato: “evoluzione” e “selezione naturale”. 

211-13 “[…] Cominciai a dare rifugio a chi ne aveva bisogno, a denunciare i soprusi, a prendere posizione a favore della sessualità, anche tra generi diversi. Argomento piuttosto difficile, credimi, in una società in cui i rapporti carnali vengono visti come la radice di ogni male.» «Da noi nello spazio sono tollerati solo per i nativi come me.» «In genere anche qui. Il controllo sessuale e riproduttivo sono forme di potere» continuò lei battagliera, «le nascite carnali sono sempre più rare. Siamo tutti figli di alberi-madre e buone selezioni. Io e Paulito abbiamo provato a fare un figlio alla vecchia maniera

[…]

Tra una boccata e l’altra, Eridiana riempì il mio silenzio. «… Quindi, capisci, non c’è da prendersela nemmeno con gli evoluti, ma con chi, tra gli evoluti, mette in atto queste pratiche di controllo. Quello che si fa agli animali, agli animar o ai nativi, poi lo facciamo a noi stessi. Sempre. Siamo tutti delle vittime […]”

I protagonisti, anche nelle loro caratteristiche repellenti e meschine, non possono non sortire qualche sentimento di benevolenza da parte nostra, perché la natura è ben più strutturata degli schemi morali che usiamo nel quotidiano. Non possiamo odiarli, perché è possibile ritrovarsi in quelle figure.

275-77  Le emozioni non sono altro che proto-pensieri, generati dallo stesso asse funzionale, in organi diversi. Ciò significa che la semplificazione emotiva indotta negli animar e l’ascesi delle emozioni a puro pensiero degli evoluti, sono delle… menomazioni.» Aveva fatto fatica a pronunciare quella parola, ma continuò. «Menomazioni molto utili in fatto di efficienza che però possono esporci a una cecità pericolosa e a un rigore logico spietato.

[…]

Gli animatzu conducono a un bivio che determinerà il nostro futuro. Senza animatzu proseguiremo a edificare una società ordinata, controllata, pacificata, semplificata e omologata, ovviamente retta da noi evoluti. Nativi e animar sopravviveranno solo relegati in riserve atte a conservare il pool culturale e genetico. Con l’introduzione degli animatzu, invece, la società tornerà a essere complessa, diversificata e conflittuale. Nativi e animar diventeranno componenti forti e attive del tessuto sociale, con tutti i problemi che ne nasceranno.» «Guerre?» «No, non credo, la diversità tende a generare microconflitti, mai guerre. Però dovremo immaginare una nuova struttura sociale per vivere bene insieme. La mia famiglia è terrorizzata da questa prospettiva di… decadenza. La vive come un declino della civiltà, un ritorno alle barbarie.» […]”

È un romanzo divertente che stimola a riflettere sui nostri lati oscuri. Offre un’occasione per ragionare sul viaggio comune che noi e questo pianeta stiamo percorrendo verso i sentieri delle domande inevase.

§CONSIGLI DI LETTURA: HYPERSPHERE

Hypersphere, di Nick V. O’Bannon
(pseudonimo), 2022, Editore Indipendente

È un romanzo che stimola la curiosità, perché impiega concetti matematici complessi negli ambiti della ricerca fisica nel campo ingegneristico avio spaziale e in quello dello studio degli astri, in modo rigoroso nelle sue determinazioni.

Sembra scritto da un matematico prima di tutto e lo si nota negli stili linguistici dei protagonisti come lo scienziato che ha progettato sistemi di aviazione aventi l’obiettivo di viaggiare attraverso salti gravitazionali. Vi è, inoltre, l’intento di capire o almeno di scoprire le topologie più complesse nel descrivere l’universo.

Vi è anche l’ingegnere che parla attraverso il suo mestiere di ex pilota extra orbitale dei marines, immerso nella nuova attività di comandante della nave aerospaziale Aphrodite. Un prototipo di nuova generazione connesso al grande reattore circolare Venus, lungo più di cento metri, dotato di propulsori atti a viaggiare attraverso le curvature gravitazionali in modo da porsi su sistemi di riferimento tangenti a quelli dei coni, determinati dalle coordinate spaziali della velocità della luce.

In più vi è la figlia dello scienziato che esprime il punto di vista politico e ideale del singolo e dell’umanità in base alla propria responsabilità verso il pianeta Terra e verso le sue specie e la sua sopravvivenza che è posta essenzialmente nel dovere di evolversi e di ricercare e conoscere. Ella è anche l’organizzatrice del viaggio.

La trama segue uno schema mitico che facilita la lettura: si ha, nonostante la variazione multidimensionale dei luoghi, l’unità di luogo all’interno della nave in cui il padre, lo scienziato goffo e distratto nei suoi studi, invano non percepisce la ricerca di attenzione della figlia. E, infine, il pilota acquisisce il ruolo del figlio acquisito che, come un novello Telemaco, ricerca la sua Itaca, essendo scappato dal suo genitore originario: la marina.

Ognuno di loro cerca nuovi stadi della propria esistenza. Lo scienziato, rispettato all’inizio per aver scoperto la possibilità di viaggiare con nuovi sistemi di propulsione, fu deriso poi per le sue teorie relative alla natura dell’universo. Nonostante tutto, vuole confermare la sua visione, sperimentando il nuovo sistema di propulsione con alcuni coprocessori matematici militari appena creati, attraverso una appropriazione indebita, per opera della figlia.

La figlia sfida tutto e tutti, perché rileva una progressiva diminuzione delle possibilità di esistenza da parte del genere umano, a causa di un’etica primitiva basata sul lavoro e sul guadagno, e quindi alla sopraffazione. Profondamente avversa, quindi, contro il consumo indiscriminato e le credenze sacre che non permettono di rispettare l’ecosistema e di ignorare la possibilità che negli astri vi siano altre entità migliori della specie umana.

Il pilota subisce la scissione relativa ai valori in cui ha creduto da una vita, perché hanno mostrato la loro incoerenza e il loro impiego contradditorio e violento da parte dei suoi “padri” d’ordine e d’autorità. Sperso in un vuoto morale, ricerca un filo conduttore per il suo vivere divenuto incoerente e confuso.

Queste figure, ripetute in oceani di film e catene montuose di romanzi, anche qui emergono nella loro tipicità, ma nonostante tutto, dispiegano una base narrativa comoda, pronta a rendere più chiara la complessa realtà fisica in cui gli attori agiscono.

Certo vi sono ingenuità nell’intendere l’economia nella veste di un impianto malevolo e magico che obbliga alla povertà e alla schiavitù. Vi sono da parte della figlia visioni quasi fiabesche nel ritenere la sua visione dell’ecologia il volano verso un paradiso in cui si scambiano tempo ed idee, in un ambiente in cui non esiste il principio della degradazione dell’energia.

Si può essere benevoli nel giudizio circa l’impostazione economica elementare, anche perché oggi è di moda nei luoghi comuni, e quindi bisogna, anche per motivi di marketing, invogliare i lettori alla prosecuzione del testo, specialmente per quelli che non hanno il tempo, le risorse, la volontà di approfondire quanto proposto.

Il nome dell’autore è uno pseudonimo. Forse è un collettivo di scrittori, oppure una figura che ha utilizzato competenze di persone specializzate negli ambiti sopra descritti, perché le soluzioni affrontate, le descrizioni delle astronavi, la programmazione delle orbite, sono di alto livello.

I modelli che descrivono i buchi neri, gli orizzonti degli eventi, la teoria della relatività generale, la natura dell’universo e i suoi modi di presentarsi nelle configurazioni a più dimensioni, presuppongono uno studio pregresso.

Si potrebbe ipotizzare però che l’autore sia un maschio, perché la figura della figlia, talvolta sembra seguire gli schemi degli anni sessanta e ottanta. Per converso l’eroico pilota maschio all’inizio rude e poi sensibile anche per le schermaglie avute, diviene più empatico e disponibile. Insomma, una presentazione dei ruoli molto antica ed elementare rispetto alle dinamiche di genere odierne.

Il punto forte del libro però, e qui occorre riconoscerlo per il fascino che attrae, è rivolto a perseguire un romanzo fantascientifico “hard”, in cui le tecnologie e i principi fisici sono descritti in modo coerente, verosimile, e ben approfondito. Anche se non sono espressi esplicitamente, ed è un bene, altrimenti sarebbe un trattato universitario, vi sono termini come “gradiente”, “varietà differenziale e topologica”, “tensori”. Insomma è presentata una vasta quantità di concetti propri della geometria avanzata, delle relazioni tra la topologia e la metrica impiegata nei modelli della teoria della relatività.

La bellezza di questo libro risiede nel loro uso, attraverso le vicende in cui incappano i protagonisti. Non vi dico la trama: sarebbe un crimine. La sorpresa è una parte importante della narrazione. Posso solo offrire una tra le tante delle chiavi interpretative: richiamano il tentativo di Ulisse di ritornare ad Itaca, ed invece di incontrare i Ciclopi, i Feaci, e di litigare con il Dio Nettuno, affrontano gli astri viaggiando a più dimensioni spazio-tempo.

Stimola moltissimo la nostra fantasia e apre la mente a nuove possibilità nel pensare l’universo, rispetto ai concetti fisici e matematici ritenuti astrusi e faticosi da immaginare.

I fibrati, le varietà differenziali, i quaternioni, le applicazioni delle forme matematiche come i Tori, i nastri di Moebius, le bottiglie di Klein, veri paradossi se rapportati al mondo a tre dimensioni, qui acquisiscono una forma adeguata e coerente.

Nonostante che talvolta vi sia una sintassi imprecisa e piatta nelle locuzioni avverbiali e nell’uso dei tempi, oltre che a una eccessiva semplificazione delle frasi, è però avvincente nel rendere la domanda su di noi e sul mondo, un poco più ricca e colorata.

§CONSIGLI DI LETTURA: IL VIAGGIO DELLA ST. JEMIS

Il viaggio della St. Jemis di Isolde Fulke
(Autore), Salvatore Mulliri (Illustratore),
2021, Forevera Books

Questo viaggio è un’occasione per riformulare le concezioni di possibilità del proprio futuro interiore e di quello che si è concepito in gioventù, in rapporto al lettore adulto, e al divenire di quello che è inteso dai lettori più imberbi. È un’opportunità di confronto per intendere emotivamente il mutamento estetico scaturito dal sentire di come si è cresciuti. Giovani e adulti, assieme, nel comprendere le proprie relazioni all’interno di un orizzonte temporale più ampio e meno conosciuto.

Per il lettore giovane, se ha fretta nello scorrere le pagine, il libro offre l’opportunità di immaginarsi all’interno del gruppo dei pari, nel misurarsi relativamente alle abilità, alle capacità, alla reciprocità di eventuali sentimenti più profondi, alla possibilità di aggregazione, alla ridefinizione di nuove identità sociali, e al riconoscimento di una crescita di sé in vista di un’ottica di miglioramento.

Niente di nuovo: i miti e le storie da sempre collocano un prima e un dopo che si deve ripetere, affinché entrino sempre nuovi coorti generazionali, in modo che le precedenti passino nello stadio più adulto, fino alla trascendenza.

È un libro urticante per gli adulti e per chi ha già avuto esperienze di lettura fantascientifiche in gioventù e in età successive, perché potrebbe essere ritenuto una ennesima rivisitazione di schemi narrativi già incontrati e lontani ora dal proprio senso estetico, tale da inibire una immedesimazione verso i protagonisti.

Se ci si fermasse in una valutazione immediata, il lettore incorrerebbe in formule pigre nel ritenere che le vicende siano semplici nei rapporti di causa ed effetto e quasi prevedibili nell’intendere i comportamenti futuri degli attori in gioco. Il rigetto superficiale dell’opera rischia di occultare, qualcosa di inedito che, se compiutamente inteso, offre una dimensione inedita per interrogarsi su di sé.

È irritante nelle prime pagine perché nella chiarezza degli intenti, induce a cadere nell’amaca riposante dei luoghi comuni verso il sempiterno funerale dei romanzi di fantascienza, il suo cadere verso il fantasy, l’appiattimento stilistico e narrativo in una prosa sincopata tipica (sempre tipica nei decenni! E Decenni e secoli) dei “giovani”. Oltre all’uso di termini gergali, misti a quelli scientifici, nella funzione di simboli di appartenenza.

Eppure il fastidio continua, e costringe a rimuginare quasi offesi. Arrivando al picco delle proprie ubbie, ecco che se si presta ascolto al senso malmostoso, il cruccio in verità è anche dovuto al giovane del passato, dietro alle nostre spalle che continuamente ci interroga e ci domanda su ciò che siamo ora nell’aver adempiuto o meno alle promesse e alle aspirazioni che si sono formulate nella propria intimità.  

Esistono sì le forme paterne e materne nel romanzo, ma sono definite in quanto mancanti dai ragazzi, perché gli adulti con difficoltà riescono ad assumere tali oneri. Eppure, ed è qui il dilemma, forse sono proprio i piccoli e gli adolescenti che sollecitano gli adulti a divenire tali in modo più pieno.

Lo stile grafico è minimale, diretto, veloce, e immediatamente consultabile.

Talvolta accade, comunque, che un romanzo si inoltri in esiti forse non previsti dagli stessi autori, con attribuzioni di senso estranee agli scopi della stessa scrittura.

L’invito è accattivante, con l’autrice ( o forse autore, o più autori ) che si firma con uno pseudonimo da telefilm che induce a proprie inclinazioni e atteggiamenti verso il mondo, più che per il proprio vissuto pubblico, quindi in una postura ammiccante verso l’adolescente che non ha ancora una gamma di ruoli definiti.

Lo stile di scrittura ricalca quello delle parlate dirette e semplificate negli aggettivi e nei modi temporali declinati verso la comunicazione giovanile. E questo è in realtà oggi già un tranello, perché anche gli adulti parlano così. Forse il punto debole di questo romanzo è nell’intercalare dell’autore quando nelle premesse degli eventi topici, utilizza un linguaggio con vistosi errori di coniugazione verbale e partitiva, e con una ridotta ed elementare della varietà verbali. Talvolta sembra che sia stato scritto a più mani e sottoposto, in seguito, a poche e frettolose procedure di revisione.

E anche qui se si crede che sia un limite specifico, si incorre in una valutazione indebita. Si potrebbe obiettare che i processi di revisione siano oggi alquanto indulgenti e sbrigativi per molte delle opere pubblicate. I testi, poi, masticati magari anche da motori inferenziali per la produzione di periodi preconfezionati, se non copiati con piccole modifiche da strutture tipiche di narrazione, lasciano un senso di insipida assenza di memoria. 

Eppure questo specifico romanzo esprime qualcosa di inedito che sta emergendo, oggi, qui, in questa Italia di lettori divisa in adulti che hanno un’esperienza robusta per quanto riguarda l’approccio vivo alla lettura, e per quell’altra fascia di fanciulli, ragazze, adolescenti che legge tipicamente romanzi seriali di fantasy, di avventura, d’amore.

Vi sono molte imprecisioni chimiche, meccaniche e fisiche nelle descrizioni tecnologiche delle astronavi e delle stazioni spaziali, ma questa pecca è comune alla stragrande maggioranza dei romanzi di fantascienza passati, anche in relazione alle conoscenze e alle tecnologie dell’epoca. Solo quella quota minoritaria della fantascienza “hard” ne è di poco immune. Però, è qui la ricchezza della letteratura fantascientifica, perché, in un dato periodo storico, ci informa di ciò che è tipicamente tenuto come assodato, e di ciò che è immaginato e reputato per verosimile, in forma mitica e valoriale.

Le epoche storiche sono contraddistinte anche dalla quota del conoscibile e dell’autorevole con riferimento al mondo, allo spazio, all’impiego dei mezzi per disporre della materia, dell’energia e alla fine del potere. Ciò induce anche a comprendere il senso estetico dei lettori del tempo in ordine alle loro preferenze e suggestioni riguardo a ciò che di artistico è apprezzato in rapporto al conosciuto e ai mondi e alle tecnologie concepite. Sì, la fantascienza attinge comunque alle logiche del mito, che è antico quanto la genesi delle comunità umana, e anche al senso del praticabile nel presente, all’obiettivo del possibile per definire il futuro, e alla costruzione dei valori per ciò che è da venire.

Il fascino risiede appunto nella creativa produzione di nuove possibilità di esistenza, che induceva alla lettura ieri come oggi.

Il romanzo non insiste molto nei particolari meccanici dei manufatti, ma propone in un modo colloquiale ed efficace, l’insieme delle nozioni astronomiche relative alle orbite, come quelle di Lagrange, agli orizzonti dei buchi neri, alla deformazione della materia per opera delle forze di gravità. Vi sono richiami e scene in cui vigono disposizioni vettoriali diverse per opera delle inversioni delle forze di gravità, delle orbite eccentriche ed ellittiche. Vi è la descrizione della spinta gravitazionale che permette alle astronavi di cambiare le rotte. Vi sono indicate le nuove strategie per viaggiare nello spazio, come le vele solari, già in uso oggi per alcuni satelliti. La legge di Stokes per i fluidi. Apparenti paradossi tra la grandezza fisica della gravità e le curvature della materia.

Sono tutti argomenti ben sperimentabili. E non è un caso che le astronavi e le stazioni spaziali orbitanti siano descritte tenendo conto delle nozioni suddette. Le stesse navicelle richiamano i progetti odierni in fase di sperimentazione e di sviluppo dei nuovi vettori di lancio.

La caratteristica commendevole risalta nel modo quasi colloquiale ed accogliente di tali nozioni. Dovrebbe essere tenuto a mente di chi professa il mestiere di docente di fisica e di matematica. Ciò non è utile solo per i giovani, ma anche per gli adulti, perché, sì, ed è qui l’irritazione, i più ignoranti sono i lettori antichi.

È resa disponibile un’occasione per riaggiornare le lenti con cui si sperimenta il mondo, per ampliare l’orizzonte linguistico che è dei giovani e anche il nostro. Anche gli adulti leggono poco, anche i maturi prendono testi scritti e intermediali e li spostano tra diversi supporti tecnologici. Ben pochi hanno il lusso del tempo e la disciplina di interpretare i testi intermediali e gestirli in modo approfondito e ripetuto avendo a memoria le versioni e le proprie esperienze anche estetiche ottenute.

Si è tutti nella stessa condizione. La lettura di questo romanzo costituisce un viaggio in modo che ognuno possa essere presente nel proprio tempo e renderlo disponibile ai compagni di viaggio.

I protagonisti permangono: anche il cattivo deve trasformarsi. È l’etica del bimbo delle favole, perché tali caratteri ritornano per una nuova avventura.

Malignamente, si potrebbe sospettare che sia il solito espediente per generare una serie di libri a tema, per futuri introiti. Su tale fenomeno per il quale la fantascienza sembra schiacciata nello stile Fantasy che è trasformato in livelli sempre crescenti di videogiochi è una possibilità. Non è detto che sia uno scadimento.

Quello che occorre capire e se ciò sia valevole per un arricchimento alla lettura, utile per ampliare l’immaginazione, promettente nel formulare nuove risposte rispetto alle promesse che i giovani dichiarano al proprio animo e a quei giovani che gli adulti sono stati.

Questo romanzo è una sfida per tutti.

§CONSIGLI DI LETTURA: IL SUSSURRO DEL MONDO

Il sussurro del mondo di Richard Powers (Autore),
Licia Vighi (Traduttore), Ed. La Nave di Teseo, Milano,
(Ed. Originale: The Overstory: A Novel, 2018,
W. W. Norton & Company
, New York, Usa)

37 “C’è un detto cinese che recita: ‘Quand’è il momento migliore per piantare un albero? Vent’anni fa.’” L’ingegnere cinese sorride. “Davvero niente male.” “‘Quand’è il prossimo momento migliore? Adesso.’” “Ah! Okay!” Il sorriso diventa reale. Fino a quel giorno, lui non ha mai piantato nulla. Ma l’Adesso, quel prossimo momento migliore, è lungo, e riscrive tutto.

La struttura di fondo della narrazione è circolare, disposta in cerchi concentrici come quelli della sezione di un tronco di un albero. Il tempo non dilegua scorrendo su una linea, ma è conservato come gli anelli di ogni fusto sulla Terra, i quali connettendosi poi con quelli esterni, mutano conservandosi.

41-42 “[…] Ma questi uomini?” Schioccò la lingua e alzò il pollice, come se questi piccoli Buddha fossero gli unici su cui puntare, nel corso del tempo. A quello schiocco, una Mimi adolescente si alzò dalle sue spalle di bambina di nove anni per contemplare gli arhat dall’alto e da anni di distanza. Dall’adolescente estasiata uscì un’altra donna, persino più grande. Il tempo non era una corda che si srotolava di fronte a lei. Era una colonna di cerchi concentrici con lei al centro e il presente che fluttuava verso l’esterno lungo l’orlo più lontano. Future Mimi si affollavano sopra e dietro di lei, ritornando in quella stanza per lanciare un’altra occhiata al pugno di uomini che avevano risolto la vita. “Guarda il colore,” disse Winston, e tutte le sue identità successive crollarono davanti a Mimi[…”

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Vista e orecchio sono necessari per la lettura di questo romanzo, dato che le vicende vivono di scrittura e di potenziali sonori evocati. Il lettore è accanto agli alberi e scorre le righe con il ritmo di vita degli alberi. Ondeggiamo nella immedesimazione nei rami della sintassi, che detengono le foglie dei significati, lasciandoli e ricevendoli con quelli emanati dal bosco infinito dei segni e sei simboli. Ognuno è disallineato, stando assieme agli altri.

Ed è qui il sublime, perché sentiamo il nostro e il loro limite. I sentieri lunghi cosparsi da foglie cui aspiriamo linfa di lettere e gocce di parole, riverberano sulle carezze dei venti. I fruscii conservano il nostro passato, perché raccolgono e rimandano le nostre parole e le correlative azioni, picchettando tracce di coloro che furono.

I sorrisi lacrimano, accomunando i volti di ogni individuo della Terra, nell’assorbire la memoria delle radici.

Rivivere la nascita e il senso del perire di sé e delle appendici a noi originarie, effonde lo struggimento nella speranza della gloria. E ci si ritrova aggrappandoci nel dire “Sì” al vivere che è la meraviglia e il dolore. Questo paradosso è la matrice del limite che impone il senso della finitudine, che radica l’indeterminatezza, seme delle infinite possibilità di esistenza.

Gli alberi aggrovigliano le nostre correnti temporali. Sono il nostro appiglio, perché con loro ci confrontiamo, essendo il baluardo dell’ignoto e i generatori delle spore, ovvero le anticipazioni del futuro. Dialogano con vettori e frequenze inaspettate dell’altro mondo che bussa tra le radici e il sotto suolo, ove l’acqua parla con i Sali e il carbonio. La pioggia carsica della terra che va verso il cielo, emana l’arcobaleno delle sostanze nella trasmutazione dei colori dall’inorganico all’organico, ricevendo per converso gocce di luce, che si depositano nel cuore della Terra. E noi come loro, prima ancora dei giudizi, ne siamo un timbro che risuona.

È un gigantesco coro di un pianeta solitario, così sottile di vita, che spedisce alberi in cammino tra gli spazi in espansione coltivando semenze di tempo.

124  “Sappiamo così poco di come crescano gli alberi. Quasi nulla di come fioriscano e ramifichino e si diffondano e si curino. Abbiamo imparato qualche cosa di alcuni di essi, presi isolatamente. Ma non c’è nulla di meno isolato o di più socievole di un albero.”

I protagonisti si avvicinano, genitori e figli, agli alberi. Tra gli stadi dell’esistenza si uniscono a quell’unico grande albero che è la foresta. Le loro storie si diramano e convergono con rami, altri rami, foglie, polline e spore, asessuate e sessuate. Da un mondo all’altro, assieme e grazie ai funghi e ai batteri, i loro piedi e le loro mani.

228-229 “[…]Rimuovere il tronco significa uccidere il picchio che tiene sotto controllo i punteruoli che ucciderebbero gli altri alberi. Descrive le drupe e i racemi, le pannocchie e gli involucri cui una persona potrebbe passare accanto senza mai accorgersene. Racconta di come da un ontano dalle pigne legnose si raccolga oro. Di come un noce americano alto due centimetri e mezzo possa avere una radice profonda quasi due metri. Di come la corteccia interna delle betulle possa nutrire gli affamati. Di come un amento del carpino bianco abbia diversi milioni di grani di polline. Di come i pescatori indigeni usino foglie di noce frantumate per stordire e catturare i pesci. Di come i salici ripuliscano il terreno dalle diossine, dai PCB e dai metalli pesanti. Illustra come le ife fungine – infiniti chilometri di filamenti ripiegati in ogni cucchiaio di terreno – riescano a far aprire le radici degli alberi e ad attingere a esse. Come i funghi collegati alimentino i minerali degli alberi. Come l’albero contraccambi queste sostanze nutrienti con gli zuccheri, che i funghi non riescono a produrre.

[…]

Sta succedendo qualcosa di meraviglioso sotto terra, qualcosa che stiamo solo imparando a vedere. Tappetini di associazioni micorriziche collegano gli alberi in enormi e intelligenti comunità sparpagliate lungo centinaia di acri. Insieme, formano vaste reti di scambio di prodotti, servizi e informazioni… Non ci sono individui in una foresta, né eventi separabili. L’uccello e l’albero su cui è posato sono una cosa sola. Un terzo o più del cibo che un grosso albero produce può sfamare altri organismi. Persino tipi diversi di alberi formano delle società. Tagliate una betulla, e un abete di Douglas nei paraggi può soffrirne… Nelle grandi foreste dell’est, le querce e i noci americani sincronizzano la produzione dei loro frutti per confondere gli animali che si cibano di essi. Si sparge la voce, e gli alberi di una data specie – che siano al sole o all’ombra, bagnati o asciutti – producono molti frutti o affatto, insieme, da comunità quale sono… Le foreste si risanano e si modellano attraverso sinapsi sotterranee. E, nel farlo, modellano anche le decine di migliaia di altre creature collegate che le formano dall’interno. Magari è utile pensare alle foreste come a enormi ed eccezionali alberi che si allargano e ramificano sotto terra […]”

Lei, lui, le coppie si formano come spore e pistilli. Si distaccano dalle reti e dalle radici dei rami sociali. Evocano il sottosuolo, assumendo atteggiamenti devianti. Profeti, visionari, alchemici, scienziati, produttori, maghi, programmatori. Sono parti di questo grande albero che continua ad esistere.

387 Si è trasferito nel mondo parallelo insieme a centinaia di milioni di altre persone, ognuna nel proprio videogioco preferito. Non riesce a ricordarsi l’epoca precedente alla comparsa del Web. È proprio questo il compito della coscienza, trasformare l’Adesso nel Sempre, confondere ciò che è con ciò che doveva essere. Certi giorni, è come se lui e il resto della Valle della Gioia del Cuore non abbiano inventato la vita online, ma si siano limitati a incidere una radura in essa. Evoluzione nella fase tre.

514 I greci avevano una parola, xenia – accoglienza dello straniero – un obbligo di occuparsi dei forestieri in viaggio, di aprire la porta a chiunque si trovi là fuori, perché chiunque passi di lì, lontano da casa, potrebbe essere Dio. Ovidio racconta la storia di due immortali che arrivarono sulla Terra travestiti da viaggiatori per guarire il mondo malato. Nessuno li lasciò entrare tranne una vecchia coppia, Filemone e Bauci. E come ricompensa per aver aperto la porta a dei forestieri offrirono loro una vita eterna trasformandoli in due alberi – una quercia e un tiglio – enormi e benevoli e attorcigliati. Finiremo per assomigliare a ciò di cui ci prendiamo cura. E quello a cui assomigliamo ci sosterrà, quando non saremo più noi stessi…

le.

515 I segnali dicono: Vale la pena reinventare una buona risposta da zero, in continuazione. Dicono: L’aria è un miscuglio che dobbiamo continuare a creare. Dicono: C’è tanto sotto terra quanto sopra la superficie. Le dicono: Non sperare o disperare o predire o esser colta di sorpresa. Non arrenderti mai, ma dividiti, moltiplicati, trasformati, congiungiti, crea, e resisti perché hai a disposizione tutta la lunga giornata della vita. Ci sono dei semi che hanno bisogno del fuoco. Semi che hanno bisogno del gelo. Semi che hanno bisogno di essere inghiottiti, corrosi dall’acido digestivo, espulsi come rifiuti. Semi che devono essere sventrati prima di germogliare. Una cosa può spostarsi ovunque, stando semplicemente ferma.

Attenzione: nell’ultimo quarto del libro, se si continua a leggere pensando che si è passati il climax della storia, per giungere alla fine in cui le scene si ricompongono per il finale che determina la chiusura alla stregua di un bilancio aziendale, si avrà la sensazione di ricevere qualche mattone negli occhi. I protagonisti riprendono i temi principali, per continuare sì lo sviluppo degli eventi, ma non per liquidarli, quanto per riaggregarli nella grande foresta del mondo, tra i boschi della poetica. Le vicende dei protagonisti che vengono mosse in modo parallelo sempre più vorticoso, sebbene agiscano secondo i rami delle storie del passato, creano qualcosa di nuovo: partoriscono il futuro. Ecco perché si ha difficoltà e quasi l’impazienza di terminare la lettura.

Si crea un nuovo cerchio nel nostro albero personale: l’animo mio e tuo.

Altro non dico: la sorpresa sarà irripetibile per ognuno che rivedrà davanti il suo passato, per orientarsi in un nuovo e ulteriore accadimento.