§L’altro nome. SETTOLOGIA. VOL. 1-2

L’altro nome. Settologia. Vol. 1-2 di Jon Fosse,
Margherita Podestà Heir (Traduttore)
La nave di Teseo, Milano, 2021.

Asle e Asle sono due versioni della stessa persona, due racconti della stessa vita, che si interrogano sull’esistenza, sulla morte, sull’ombra e sulla luce, la fede e la disperazione. È una scrittura senza fine, perché non vi sono punti, ma solo virgole e punti interrogativi. È un flusso di coscienza corredato da sintagmi verbali, come “penso” o “dico/dice”.

Pensa, e ripensa, vede e non vede, e ritorna a pensare sul perché vede e non vede: infinite ripetizioni e approfondimenti nel parlare del buio che è nella luce, e quindi di Dio, dell’inesistenza di Dio, dell’onnipotenza di Dio. Dipinge scrivendo, e ritocca parlando, in un quadro senza estensioni, perché il pittore stesso è tutto esteso.

Il ritmo è corredato da domande con risposte mancanti e implicite. Crea un alto e basso tonale, per seguire l’onda dei pensieri, come flutti che si infrangono sugli scogli delle frasi. Il riflusso crea la situazione. Le domande tracimano con le interiezioni e con i partitivi. Il linguaggio viaggia con il surf sulle onde della realtà in modo sfuggevole, rispetto al fondale e al vento stesso. Entrambi inattingibili. Appare l’impossibilità di accedere nella vista e nel linguaggio, e quindi nel senso e nel tempo, sia degli astri e quindi delle divinità sia degli oggetti e del mondo, e quindi della propria interiorità.

La consapevolezza dell’assenza di risposta è proiettata in un soliloquio di preghiere volte a chiarificare la sua limitatezza nel vedere e nel dipingere. Il quadro è una parte della domanda circa la realtà, ed è scambiato nel soliloquio come una risposta. Tale artificio ha lo scopo di rendere partecipe il lettore attraverso la scissione tra il protagonista con un alter ego, e questi con lo scrittore stesso. Tutti assieme nel ritrovarsi consapevoli a poter attingere compiutamente al senso del mondo.

Il lettore è dipinto attraverso il tentativo di seguire la rotta vorticosa degli eventi, nuotando assieme allo scrittore nel fingere che anche la propria impossibilità a capire il tutto sia una risposta, invece che una estensione infinita della domanda. Da dove deriva la presupposizione? Chi la fonda? Chi la manifesta?

Nella luce buia, lui e il suo alter ego entrano in simultaneità nei luoghi da essa illuminati. Anzi risucchiati. La luce vuota illumina togliendo. Per converso l’autore, il pittore e l’alcoolista si sdoppiano e si fondono, si fondono e si sdoppiano in uno stesso luogo nei diversi tempi delle riflessioni. Nelle inibizioni di luce, mentre osservano gli oggetti, le camere, le case, e con queste rievocano il loro passato che è presente e viaggia con loro. Anch’esso risucchiato dalla luce vuota.

Lo sdoppiamento dello spazio tempo permette la reversibilità delle azioni. Le domande sono arricchite da più verbi per una stessa richiesta. Il participio passato e il presente si intersecano. Le domande rivolte al futuro, si diramano nel passato, moltiplicando gli eventi accaduti secondo l’occhio dei doppi dell’autore. I congiuntivi e i condizionali, invece, hanno la funzione di determinare l’oggetto che è una risposta univoca alle richieste di senso: sì, no, vero, così sarebbe andata. Eppure non basta: tutte le risposte sono travolte dai coni spazio temporali che vorticano su se stessi. Ritornando su colui che formula il dubbio. Il quale non può fare altro che importarle da un monologo interiore, cioè proprio nel punto di partenza. Il complemento oggetto collassa sul partitivo relativo e le sue diramazioni: “che cosa è”, oppure perché “questo è o fa”. Ogni domanda si denuda mostrando una affermazione rivoltata che, come una perla, si inanella nella collana di una frase senza fine.

Il romanzo è una poderosa sperimentazione stilistica che cerca un contatto con la divinità. È un tentativo di concepire una preghiera che sia essa stessa un corpo dell’ultramondano.

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69-70 Ma tu credi in Dio e io no, dice e dico, come dico sempre, che nessuno può dire nulla su Dio, ma è possibile pensare che senza Dio non esisterebbe niente perché, anche se Dio non è nulla, è distinto e separato dal Creato, che invece è sempre qualcosa di limitato, Lui è al di là del tempo e dello spazio, Lui è qualcosa che non possiamo immaginare, Lui non esiste, Lui non è una cosa, in altre parole non è nulla, dico e dico che nulla, nessuno esiste da sé perché è Dio a rendere possibile che qualsiasi cosa esista, senza Dio non ci sarebbe nulla, dico e Åsleik dice che allora che senso ha pensarla così? perché in tal caso non ci sarebbe nulla in cui credere, giusto? quale sarebbe lo scopo di credere nel nulla? e dico che in questo ha ragione, sì, su questo punto siamo d’accordo, ma è anche sbagliato dire che Dio è nulla, perché allo stesso tempo Lui è tutto, tutto quanto insieme, perché penso, dico, che dal momento che nulla sarebbe esistito senza che Dio lo avesse voluto, avesse fatto in modo che esistesse, che fosse, come dicono, quindi è Lui che è, è Lui la sostanza di tutte le cose, sì, di se stesso, di ciò che è il suo nome, infatti Dio dice di chiamarsi Io sono, dico Questo non lo capisco, dice Åsleik No, in effetti non lo capisco neanch’io, dico È soltanto qualcosa che pensi? dice Åsleik Sì, dico e poi nessuno dice più una parola e rimaniamo fermi dove siamo tenendo gli occhi abbassati Tu e la tua fede, dice Åsleik A volte non ti capisco, dice Ma nessuno può arrivare a Dio con il pensiero, dico Perché o uno avverte la vicinanza di Dio o non la avverte, dico Perché Dio è un’assenza molto lontana, sì, l’essenza stessa dell’essere, o una vicinanza molto stretta, dico Forse per te è così, dice Åsleik Ma non ha senso, dice e dico che no, non ce l’ha, eppure paradossalmente sì, dicono, c’è l’ha, e sia lui che io non siamo forse un paradosso per il fatto di trovarci lì dove siamo, perché in che modo sono connessi l’anima e il corpo, dico e Åsleik dice che be’, in effetti e rimaniamo in silenzio

182 Li sai i nomi dei colori? dice Asle Sì, dice Sorella Non ce ne sono tanti, le dice Ci sono molti più colori dei nomi che danno ai colori, almeno di quelli che conosco io, le dice Sicuramente, dice Sorella Giallo, blu, bianco, dice Asle Rosso, marrone, nero, gli dice E viola, le dice Sì e tanti altri, dice Sorella e Asle dice che è così perché il colore blu della casa è completamente diverso dal blu del cielo, dal blu del mare o dal blu del suo vestito, le dice, le basta vedere con i suoi occhi Guarda com’è diverso il blu della casa da quello del tuo vestito, le dice e dice che i colori non sono mai uguali e cambiano sempre, dipende dalla luce, le dice, ecco perché è impossibile dare un nome a tutti i colori esistenti, ce ne sarebbero così tanti che nessuno riuscirebbe a imparare tutti questi nomi, dice e Sorella dice che comunque il blu è blu, dice, e il giallo è giallo, dice

190 quando brilla il sole sembra quasi che ci siano soltanto due variazioni di grigio, ma quando c’è l’ombra le tonalità sono così diverse ed è come se i colori fossero sempre in movimento e al tempo stesso fossero fermi, sì i colori sono movimento nella quiete e quiete nel movimento, pensa Asle, per non parlare delle pareti della Rimessa, dove le assi che le compongono sono diventate completamente grigie e le spaccature del legno creano innumerevoli sfumature di grigio, pensa Asle e dice che la Rimessa è grigia, ma è anche un insieme di tonalità di grigio che non hanno un nome e Sorella risponde di sì e lui le stringe la mano con forza perché fa quasi paura che esistano così tante varietà di grigio e così tante varietà degli altri colori, si chiama blu, soltanto blu, ma di sicuro ci sono mille blu diversi, mille, almeno mille, no ce ne sono così tanti che è impossibile contarli, pensa Asle E di blu, sì, ce ne sono così tanti che è impossibile contarli, le dice Sì, dice Sorella Blu, gli dice Il cielo è blu, gli dice A volte, dice Asle

§CONSIGLI DI LETTURA: IN DUE SARA’ PIU’ FACILE RESTARE SVEGLI

Giorgia Surina. In due sarà più facile restare
svegli. Giunti Editore, Firenze, 2022

Le due amiche si recano all’ospedale per sottoporsi ad una procreazione medicalmente assistita. Non sono sposate. Non si conosce il donatore. Trattate come numeri. Quasi nude se non per i camici da salumeria con il laccetto, inquadrate. Senza privacy. Sgridate per non aver eseguito correttamente il protocollo. Senza un aiuto emotivo non tanto per la speranza, quanto per quel momento irripetibile per la donna, perché non si tratta di una semplice ingestione di una medicina. Tutto è messo alla prova. Tutto loro stesse. Da sole, se non nella loro alleanza.

E anche se ci fosse un uomo, sarebbero ugualmente sole per quanto riguarda la ricerca di una piena comprensione: un uomo non potrà mai accedere al terremoto devastante per ogni fibra della pelle, del cervello e del corpo che ha ogni secondo, quella donna che vorrebbe generare vita. Il dolore e la stanchezza comuni causate dal tentare più volte il trattamento dopo settimane di medicine di preparazione, di eventuali diete, di lastre, di controlli per la fertilità, saranno sempre quelle di lui e non di lei. È possibile anche la presenza di un rancore nascosto, nel non riuscire a divenire un padre. E se Lui è fertile, vi sarà sempre un angolo di frustrazione contro di Lei. Perché per lui di base una prestazione, che scaturisce nella socialità di un’esibizione, mentre per lei, probabile madre, è una totale Apocalisse.

Tutto ciò potrebbe accadere anche prima, per il rifiuto di lui ad accogliere l’evento atteso. L’imbarazzo e l’umiliazione per esser trattate entrambe come un pacco di magazzino sono infinitamente più lancinanti, perché vogliono concepire da sole, senza un compagno e vivere sostenendosi sempre come due amiche. Dopo esperienze sentimentali fallite, cercano la sorellanza nel divenire madri, nonostante lo sguardo perplesso della comunità, per la loro scelta poco ortodossa. Nude e alla merce del sistema sanitario e delle leggi.

Lo stile del romanzo è colloquiale, quasi diaristico. Parlato in prima persona, con locuzione gergali che accentuano alcune debolezze di stesura sintattica. Ribadiscono a se stesse la loro scelta, e quindi vi è una sovrabbondanza di un colloquio interiore con ridondanze di pronomi relativi e dei verbi declinati al futuro. La ripresa dei temi, spesso, è appesantita dalla ipertrofia d’uso di tempi imperfetti, poi schiacciati nel participio passato. Si avverte che l’autrice del romanzo è una nota e capace conduttrice radiofonica: sa veicolare le informazioni con una scrittura tesa a catturare l’attenzione di un ipotetico pubblico all’ascolto.

Bea e Gaia, le due protagoniste, attraverso i dubbi, tentano di sviluppare una morale coerente che sostenga la loro scelta. Si confidano con le madri, non lo dicono subito ai fratelli ai padri: la decisione e l’eventuale dolore della sconfitta implica la decisione di vivere il momento topico in modo intimo.

Riflettendo a proposito del suo ultimo mancato amore, Bea propone a Gaia di procreare comunque senza bisogno di un compagno: “Non si ha bisogno di un amore per vivere!”

Per divenire compiutamente se stesse, senza l’approvazione di alcunché.

Il romanzo, come una gestante, concepisce una biografia duale, che vorrebbe esser tipica di un modo di vivere la maternità. La scrittrice stessa si fa madre, attestando un percorso di vita che anticipa nuove possibilità dell’esistenza. Giorgia Surina negli specchi di se stessa, moltiplica l’atto di generazione per qualsiasi altra lettrice.

I capitoli si svolgono alternati tra le due protagoniste, in un contrappunto di un battito del cuore, come quello di una vita che nasce.