§CONSIGLI DI LETTURA: I Beati paoli

Luigi Natoli I Beati Paoli Edizione integrale Newton Compton editori

Prima edizione ebook: ottobre 2016 © 1989, 2006, 2016 Newton Compton editori s.r.i. Roma, Casella postale 6214 ISBN 978-88-541-9909-5 Realizzazione a cura di The Bookmakers Studio editoriale, Roma www.newtoncompton.com

È un romanzo avvincente dei primi anni del 1900. Ha un approccio simile a quello di Alexander Dumas per i romanzi come “Il Conte di Montecristo” e la “Sanfelice”. Attinge agli eventi storici realmente accaduti con alcuni personaggi veramente esistiti e in luoghi urbani e naturali ancora esistenti. Ha le caratteristiche di una saga, pubblicata a puntate nei periodici dell’epoca, nella quale diversi stili di scrittura convivono con una prosa scorrevole. Vi è una sintassi fluida con un’ottima caratterizzazione dei personaggi ed un’eccellente descrizione emotiva. I personaggi hanno un retro pensiero accompagnato da una doppia comunicazione verbale e fisica, quindi manifesta, e un’altra interrogante di sé e degli altri. I moti degli animi attraggono il lettore, come il vortice dell’angoscia nei tribunali segreti degli incappucciati. Non è un caso che Luigi Natoli fu veramente un massone.

È ambientato a Palermo tra il 1688 e il 1721.  

Nello scorrere degli eventi che consiglio di leggere per mantenere la tensione emotiva, i protagonisti si confrontano con i propri errori, anche nel subire o nel togliere l’ingiustizia agli altri. Il romanzo è un’esposizione monumentale del conflitto che scaturisce tra la pretesa e l’esercizio della giustizia.

“[…] I Beati Paoli apparivano ed erano di fatto come una forza di reazione, moderatrice: essi insorgevano per difendere, proteggere i deboli, impedire le ingiustizie e le violenze: erano uno Stato dentro lo Stato, formidabile perché occulto, terribile perché giudicava senza appello, puniva senza pietà, colpiva senza fallire. E nessuno conosceva i suoi giudici e gli esecutori di giustizia. Essi parevano appartenere al mito più che alla realtà. Erano dappertutto, udivano tutto, sapevano tutto, e nessuno sapeva dove fossero, dove s’adunassero. L’esercizio del loro ufficio di tutori e di vendicatori si palesava per mezzo di moniti, di lettere, che capitavano misteriosamente. L’uomo al quale giungevano, sapeva di avere sospesa sul capo una condanna di morte. Come eran sorti?… Donde? Mistero. Avevano avuto degli antenati: quei terribili “vendicosi”, che ai tempi di Arrigo vi e di Federico ii erano diffusi per il regno e il cui capo era un signore, Adinolfo di Pontecorvo; i proseliti migliaia; il loro compito quello di vendicare le violenze patite dai deboli.  […]”

La descrizione delle piazze, dei palazzi, degli interni ha una poetica barocca strabordante e meravigliosa.  Luigi Natoli è a un tempo un fotografo e un esteta. 

285 Non aveva alcuna meta prefissa: pure andava innanzi e oltrepassato il ponte dell’Ammiraglio, s’avviava verso i villaggi. Egli era così immerso nelle sue idee, che non s’accorgeva del cammino. Erano gli ultimi di marzo; un pomeriggio tiepido e roseo, come ce n’è soltanto in Sicilia, e tutte le campagne verdi e i mandorli bianchi; nell’aria un odore di cose ignote che infondeva nel sangue una mollezza, una specie di lassitudine piena di desideri, una malinconia dolce e sognatrice. Le anime che vivono nella solitudine sentono in queste giornate primaverili l’orrore del vuoto che le circonda, e sentono nel cuore una felicità a ricevere le impressioni e a schiudersi alla commozione e alla tenerezza.

I Beati  Paoli traducono l’etica in un ordine giuridico parallelo.

pp. 313-14  […] «Non li affronterete… » . «Perché? » «Ve lo impediranno » . «Mi assassineranno? » «Vi puniranno… » . «È la stessa cosa » . «No; il boia punisce e non assassina… Essi sono esecutori di giustizia » . […]

La giustizia dei Beati Paoli è redistributiva in un modo proporzionale. Tu fai il male e ricevi il pegno.

Pag. 514 “[…] « Ah no!», interruppe vivamente il capo dei Beati Paoli; «vacilla soltanto la fede nella caporali; non paghiamo giudici; non cerchiamo nei codici gli arzigogoli per contestare l’ingiustizia. Apriamo l’orecchio e il cuore alle voci dei deboli, di coloro che non hanno la forza di rompere quella fitta rete di prepotenza, entro la quale invano si dibattono, di coloro che hanno sete di giustizia e la chiedono invano e soffrono. Chi riconosce la nostra autorità? Nessuno. Chi riconosce in noi il diritto di esercitare giustizia? Nessuno. Ebbene, noi dobbiamo imporre questa autorità

e diritto e non abbiamo che una arma, il terrore, e un mezzo per servircene, il mistero, l’ombra. Non ci nascondiamo per viltà, ma per necessità. L’ombra moltiplica il nostro esercito e desta la fiducia di coloro che invocano la nostra protezione. Chi non oserebbe ricorrere a un magistrato legale per difendere se, la sua casa, l’onore delle sue donne, perché il ricorso lo esporrebbe alle ire, alle rappresaglie, alle vendette del barone o dell’abate, confida volentieri nell’ombra il suo dolore e la violenza patita; un uomo che egli non vede, non conosce, raccoglie il suo lamento. Noi vediamo se egli ha ragione. Un avvertimento misterioso giunge al sopraffattore nel suo palazzo stesso, al magistrato complice nel suo scanno; l’ascoltano? Non cerchiamo di meglio: lo disprezzano e compiono la prepotenza, e continuano l’offesa? Puniamo, e vendichiamo l’offesa. Nessuno vede il braccio punitore, nessuno può dunque sottrarvisi… Questa è la nostra giustizia. Essa non ha punito mai un innocente, ed ha asciugato molte lagrime». […]”.

Il testo del romanzo è corredato da un vocabolario alto e pieno di riferimenti di luoghi e mestieri. Traspare una sapiente e superlativa conoscenza della lingua italiana. In più i non detti dei protagonisti mostrano la profonda, antica e complessa cultura siciliana, nelle interiezioni, nelle frasi ammiccate, nelle analogie, nelle metafore. Ogni frase e ogni smorfia ha significati multipli. Dalle movenze e dai toni, alla apparente impassibilità, emerge un mondo di sentimenti e intenti.

Pgg.722-23 “[…] «Sangue, sangue!… Le mie mani grondano sangue!… Toglietemi questo sangue; portate via questi morti!… Pietà!… pietà!… Mi opprimono. Mi squarciano il cuore… Ah!… quanto sangue! affogo!… affogo!… affogo!…». La sua voce andò spegnendosi tra i singhiozzi che gli squassavano il petto e nulla era più straziante che vedere quell’uomo lordo di sangue, con le mani distese come per allontanare qualche cosa di terribile, gemendo fra i singhiozzi che gli laceravano il petto, con gli occhi aridi, esterrefatti. Don Francesco gli si avvicinò di nuovo per rifargli la fasciatura, ma don Raimondo stridette e riprese a gridare: «Non mi toccate!… non mi toccate! Tutto sanguina!… Il sangue è dovunque… Un fiume!… E ce ne vuole ancora. Hanno i pugnali e ammazzano… Ammazzano!… Ammazzano!… Dov’è Blasco?… C’è anche lui!… Ecco l’hanno ammazzato!… Sangue!… c’è sangue!… sempre sangue!… sempre sangue!…». […]”.

§CONSIGLI DI LETTURA: Le avventure di Tom Sawyer

Mark Twain

Le avventure di Tom Sawyer

Titolo originale dell’opera:The Adventures of Tom Sawyer

Traduzione di Bruno Oddera

© 1987 Arnoldo Mondadori Editore S.p.A., Milano I edizione e-book Reader ottobre 2000 http://www.mondadori.com/libri

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Come ritornare a giocare con se stessi. Mark Twain narra le vicende di personaggi che racchiudono tratti caratteriali e comportamenti dei compagni e degli adulti della sua infanzia. Non è però un romanzo autobiografico, perché le vicende mostrano situazioni tipiche per giovani della seconda metà dell’ottocento, nelle terre di mezzo degli Stati Uniti, pochi anni dopo la guerra di secessione.

Il tempo che scandisce la narrazione è scandito dai luoghi e dagli appuntamenti di crescita dei giovani, che proprio in quei decenni, per la prima volta nella storia, iniziavano ad assumere quello stadio della vita, prima sconosciuto, che va dalla fase prepuberale alla fine dell’adolescenza. La vita inizia ad allungarsi, e così anche il tempo della scuola che diviene generalizzato.

In modo sottile, Mark Twain mostra le disparità della schiavitù con gli occhi giocosi di un bambino, che, nel contravvenire alle consuetudini gioca e addirittura mangia assieme con adulti e ragazzi di colore. Nei vari capitoli, quasi timida, appare la parola “schiavo”. L’ingiustizia, il razzismo e le differenze sociali emergono attraverso la morale dei bimbi. È un simpatico inganno che l’autore gioca al lettore nel farlo divertire: pone temi duri e conflittuali degli Stati Uniti, attraverso le comiche conseguenze per tutto il villaggio, causate dalle marachelle dalle piccole pesti disubbidienti.

È un romanzo di formazione dove più che il singolo maestro o precettore guida il percorso, è lo stesso villaggio e i luoghi circostanti, come il fiume, il bosco, la casa stregata, la caverna, l’isola. Gli stessi adulti, predicatori e giudici, risultano ridicoli nell’adempiere ai loro ruoli, e spauriti come i ragazzi nell’affrontare le sorprendenti vicende che via via si manifestano nel corso della storia.

Gli adulti sono ridicoli e prevedibili quanto i ragazzi, con la differenza che questi ultimi cercano di esserlo, nell’imitare le stesse autorità famigliari e cittadine.

È un libro universale perché le ragazze e i ragazzi crescono nel comprendere la relatività dei comandi assoluti impartiti dai contraddittori e bugiardi adulti, e dalla complessità della realtà che può risultare accogliente, invitante, e mortalmente pericolosa nello stesso istante.

Tom Sawyer assieme a Huckleberry Finn svolgono la funzione di mediatori tra il luogo natio che promette ogni giorno di essere il luogo sicuro e ciò che è al di là, talvolta duro e respingente, ma necessario per la sopravvivenza di tutti.

La scansione degli eventi è data dalle capacità di apprendimento e di rielaborazione da parte dei ragazzi nel risolvere i problemi dovuti a mancanze oggettive materiali e a desideri transitori, che hanno lo scopo di una soddisfazione momentanea come quella di mangiare un dolce, rubare una zolletta di zucchero, fino a provare se al di là della collina vi siano tesori nascosti sotto gli alberi.

I ragazzi tentano continuamente di porre spiegazioni all’imprevedibilità, riformulando le storie, le spiegazioni degli adulti, piegandole ai loro interessi. Sono irresistibili nelle loro coerenti deduzioni che si basano però su assunti infondati, e analogie presupposte, che mostrano nozioni incerte e oscure.

Però, fino a qui, sembrerebbe un romanzo che esterna la sola goffa ingenuità del giovane che procede a tentoni per l’inesperienza dei fatti del mondo. Non è solo questo, perché Mark Twain, mostra indirettamente come i ragazzi, anche quelli discoli, ribelli, scansafatiche, malandrini, ragionano secondo le logiche e i dettami e gli ESEMPI, portati dagli adulti. L’assurdo dei loro ragionamenti esprime nel modo più coerente, l’insieme delle ipocrite omissioni delle zie, delle madri, dei maestri e dei predicatori.

Le disastrose conseguenze che portano le piccole pesti, sono così esagerate, perché tutti questi ragazzi sono sinceri nel mostrare l’avidità, l’invidia, la gelosia, la brama, l’aggressività, tutte però transitorie e sminuite l’attimo dopo, perché sublimate nel gioco, nella costante volontà di ricreare loro stessi il mondo degli adulti. Insomma: i ragazzi sono sinceri e proprio per questo, nessuno di loro mostra l’ipocrisia.

La sincera disposizione a mostrare le reali intenzioni dei loro atti, mostra le falle etiche delle convenzioni sociali.

L’irresistibile fascino di questo romanzo, però non può essere ridotto a una edificante riconoscenza verso i giovani che, loro malgrado, e quindi in piena sincerità, tengono viva la torcia che illumina lo specchio interiore degli adulti. Mark Twain scrivendo il libro, ritorna su se stesso. Prende alla lettera la spinta dei giovani protagonisti a conoscere, attraverso il gioco e lo compie seriamente.

E non può che essere così, perché il bimbo quando gioca, è serissimo: ricostruisce un mondo dentro di sé e amplia lo spettro delle possibilità nel divenire adulto. L’immaginazione rispetto al luogo offerto dagli adulti, e la fantasia come motore di realizzazione di nuovi mondi, e quindi nuova vita, costituiscono la testimonianza del patrimonio di una comunità che si perpetua rinnovandosi nel corso della vita dei singoli.

Non vi è bisogno di assumere un tono che ammonisce ed esorta a comportamenti più commendevoli, perché il gioco del bimbo che diventa uomo, è connotato da regole morali, che impongono la coerenza, la spinta ad apprendere e la sincerità nell’esprimere gli intendimenti. Tutto questo vale per ogni bimba e bimbo che giocano assieme in tutto il mondo, di tutte le razze e lingue.

L’universalità di questo libro è offerta dallo stesso autore che, ritornando su stesso, presta ascolto, a colui che da sempre lavora nel mantenere il suo senso del tempo e ordine del mondo: il bimbo che è stato.

Attraverso l’ironia, lo scherno, l’entusiasmo goffo dei bimbi, il romanzo invita il lettore a ritornare su stesso, e riportarlo fuori, nella sincerità dei propri intenti e lasciando libera la voglia di conoscere, senza il timore che la propria maschera di adulta risulti ridicola o in fallo.

 Tom Sawyer ci chiama fuori da casa, per venire a giocare con lui, perché vi è tanto da fare: nascondere tesori, cioè la propria immaginazione; salvare vite umane, ovvero innaffiare la sete di conoscenza, ad esempio trasformando quattro assi di legno galleggianti in veliero che viaggia alitato da vento e dai secondi di ciò che si è stati.