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§CONSIGLI DI LETTURA: MUSICA ROCK DA VITTULA

Musica Rock Da Vittula di Mikael Niemi,
(Populärmusik från Vittula, 2000),
K. De Marco (Traduttore),
2010, Iperborea, Milano

È un romanzo di formazione semi autobiografico, dove le vicende del passato si miscelano con le riflessioni nel presente che l’autore fa di se stesso di quel periodo con i suoi compagni, considerando l’evoluzione e i contrasti di quella zona della Finlandia dove convivono i Lapponi, comunità svedesi con diverse forme di interpretazione del luteranesimo.

L’interiorità del protagonista costituisce il sistema di riferimento per inquadrare lo spazio e il tempo narrativo. La visione animistica del cosmo e della natura offre uno stile narrativo che facilita la commistione tra il passato e il presente.

12-13 “[…] Nel gergo popolare il nostro quartiere veniva chiamato Vittulajänkkä, che tradotto vorrebbe dire la Palude della Passera. L’origine del nome non era chiara, ma doveva avere a che fare con il gran numero di bambini che ci nascevano. In molte case si arrivava a cinque, se non di più, e il nome rendeva una specie di crudo omaggio alla fertilità femminile […]”

16-17 “[…] Smisi di spingere e lasciai che l’altalena perdesse a poco a poco velocità. Alla fine saltai sul prato, feci una capriola e rimasi sdraiato a terra. Guardai il cielo. Le nuvole rotolavano bianche sopra il fiume. Sembravano grosse pecore lanose che dormivano nel vento. Se chiudevo gli occhi vedevo degli animaletti muoversi sotto le palpebre. Dei puntini neri che strisciavano su una membrana rossa. Se li stringevo ancora più forte riuscivo a vedere degli omini viola nella mia pancia. Si arrampicavano gli uni sugli altri e formavano delle figure. Anche lì dentro c’erano degli animali, anche lì c’era un mondo da scoprire. Mi prendeva un senso di vertigine, capivo che il mondo era una serie infinita di sacchetti infilati uno nell’altro […]”

I titoli dei paragrafi spiegano le gesta, in modo analogo a un racconto a quelle d’arme e d’amore di un tempo. Il mito del passato intesse una narrativa lirica. La memoria costituisce una storia che snoda il romanzo di formazione in una sequenza di Odissee per le quali il lettore possa partecipare emotivamente, attraverso una descrizione del mondo visiva, odorifera e tattile. Le immagini risultano concrete, olografiche, come quelle di un bimbo, contraddistinte da olografie antropomorfe. Gli oggetti rappresentano significati spirituali ed etici (buono, giusto, repellente) o caratteriali (eroico, pavido, fermo).

71 “[…] Quel pomeriggio stesso cominciò la lite per l’eredità. Si attese che finissero i riti funebri e che vicini e predicatori se ne fossero andati. Poi le porte della fattoria si chiusero agli estranei. I vari rami, escrescenze e innesti della famiglia si riunirono nella grande cucina. I documenti furono disposti sul tavolo. Gli occhiali furono estratti dalle borsette e messi in equilibrio su nasi lucidi di sudore. Si schiarirono le voci. Si inumidirono le labbra con lingue affilate. Poi scoppiò il finimondo […]”

178 Durante la gara di bevute clandestina dei ragazzi, il narratore interpretando se stesso da bambino, riveste le vicende con uno stile fiabesco, ma nella sostanza coerente nel descriverle in modo estremamente razionale per analizzare i fenomeni della natura, le leggi morali e il loro impiego. Per il contrasto comico sapientemente dosato, mostra l’assurdità e il ridicolo delle imprese dei suoi coetanei e di quelli di poco più grandi nell’imitare i comportamenti degli adulti. Ridicoli perché goffi e impotenti non avendo la cognizione, l’esperienza e il fisico per le imprese, e assurdi perché riuscivano benissimo a imitare i miserevoli comportamenti degli adulti. Mentre in alcuni romanzi di formazione i ragazzi e le ragazze (Tom Sawyer o Pippi Calzelunghe) mostrano l’ipocrisia e la violenza degli adulti attraverso il loro comportamento conflittuale e di sfida, contravvenendo sistematicamente alle regole, qui i giovani disubbidiscono alle prescrizioni, ma per uniformarsi allo stile di vita dei più grandi.

Le comiche e malriuscite imprese dei ragazzi, costituiscono una accusa indiretta all’ipocrisia dominante. Nonostante tutto, vi è da parte del protagonista, e quindi dell’autore, un moto di compassione e di affetto per tutti. Se i ragazzi intraprendono imprese impossibili destinate al fallimento, gli adulti raccontano e si magnificano del loro passato in modo così iperbolico, da risultare esilarante.

Il romanzo offre l’occasione per studiare la storia e il modo di vivere dei finlandesi di confine con la Lapponia, la Russia, i rapporti di inimicizia e di ammirazione nascosta per gli svedesi, il conflitto tra la città e la campagna, il campanilismo tutto particolare tra i quartieri e le zone rurali più isolate di questa comunità che parla una lingua semi finlandese, mischiata a quella lappone. È estremamente interessante osservare il rapporto quotidiano con le prescrizioni della religione luterana, dei riti pagani ancestrali, e dagli influssi della visione ortodossa russa. Il utto immerso in una visione magica della natura.

Vi è anche la cronaca della trasformazione sociale di questa comunità che subì la guerra più volte e le invasioni di Svedesi, Prussiani, Russi prima e poi ancora Svedesi, Tedeschi e Sovietici dopo. Bellissime e toccanti sono le descrizioni della natura e dei moti delle stagioni e qui i lettori italiani dovrebbero porre maggiore attenzione a comprendere gli aggettivi riferiti alla notte, al buio, al freddo, alla tempesta, al ghiaccio, all’afa. Quello che nel testo è scritto in modo normale, per noi popoli del clima mediterraneo l’intensità di tutto ciò sarebbe superlativa: dalla distesa delle foreste, dei laghi, dal vento che taglia e ghiaccia, dalla notte artica del nord che è buio completo, dal freddo che significa meno di dieci gradi in giù.

È una narrazione autobiografica introspettiva che rivolge un atto di accusa e un atto di amore per il proprio passato, per i famigliari, per una terra che mantiene una memoria sotterranea, condita da un umorismo che tende a esprimere fanfaronate, ma in un modo così discreto che rende disponibile il lettore ad avvicinarsi con affetto.

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245 “[…] Tutti abbassarono i bicchieri e si sedettero. La festa aveva ormai raggiunto lo stadio della malinconia, e la musica arrivava a puntino. Cantavo guardando il nonno, che abbassò timidamente lo sguardo. “Oi Emma Emma, oi Emma Emma, kun lupasit olla mun omani…” Proseguimmo con Matalan torpan balladi. L’atmosfera divenne così triste che si appannarono i vetri alle finestre. E per finire attaccammo Canzone d’amore di Erkheikki, un valzer lento in minore con un assolo lamentoso di Holgeri che avrebbe commosso una pietra. Poi gli uomini vollero brindare con noi. Come si usa nel Tornedal, nessuno disse una parola di commento sulla nostra prestazione, perché gli elogi inutili alla lunga non portano ad altro che a progetti smodati e al fallimento. Ma si vedeva dai loro occhi cosa sentivano […]”

247-248 “[…] Com’è bella l’estate, così perfetta, così eterna! Il sole di mezzanotte sul limitare del bosco, nuvole rosse che risplendono nella notte. Calma di vento assoluta. L’acqua ferma liscia come uno specchio, senza un’increspatura. E poi all’improvviso un cerchio che si allarga lentamente su quella calma sublime. E lì, in mezzo al silenzio, si posa una farfalla notturna. Resta impigliata sulla superficie dell’acqua con la polvere delle ali. Scivola giù nelle rapide, vortica tra le pietre e la schiuma. Sopra le cime dei pini le zanzare sciamano leggere come piume nel caldo sempre più intenso. Ecco cosa si vede quando ci si trova in quel sottile interstizio che è una notte d’estate, fluttuando sulla fragile membrana tra due mondi […]”

§CONSIGLI DI LETTURA: L’UOMO CHE METTEVA ORDINE AL MONDO

Ove: nostra nemesi e nostro specchio

Fredrik Backman L’uomo che metteva in ordine il mondo.

 Traduzione di Anna Airoldi, 2014, Mondadori.

È un romanzo che induce a piangere commossi e a ridere a crepapelle nello stesso istante: alterna gli stili comici e tragici riguardo al protagonista antipatico e ombroso, ma da tutti voluto per risolvere problemi, data la sua assurda e tenace coerenza.

Si piange e si ride, perché nel corso delle pagine, si avverte la sensazione che anche noi potremmo incontrare il protagonista davanti allo specchio

Pgg. 1-2 “[…] Ove ha 59 anni. Guida una Saab. La gente lo chiama “un vicino amaro come una medicina” e in effetti lui ce l’ha un po’ con tutti nel quartiere: con chi parcheggia l’auto fuori dagli spazi appositi, con chi sbaglia a fare la differenziata, con la tizia che gira con i tacchi alti e un ridicolo cagnolino al guinzaglio, con il gatto spelacchiato che continua a fare la pipì davanti a casa sua.

Ogni mattina alle 6.30 Ove si alza e, dopo aver controllato che i termosifoni non stiano sprecando calore, va a fare la sua ispezione poliziesca nel quartiere. Ogni giorno si assicura che le regole siano rispettate. Eppure qualcosa nella sua vita sembra sfuggire all’ordine, non trovare il posto giusto. […]”

Ove sente di avere tutti contro: i vicini, gli oggetti, la strada. Vuole il controllo perfetto anche del proprio suicidio, in un vortice dove tutto è disprezzato, perché disturba la propria memoria, i propri valori e illusioni.

Pag. 17 “[…] “Sarà bello prendersela un po’ comoda” gli hanno detto ieri al lavoro. Sono entrati nel suo ufficio un lunedì pomeriggio e hanno spiegato che non avevano voluto affrontare la questione di venerdì perché “non volevano rovinargli il fine settimana”. “Vedrà che bello potersela prendere con più calma” hanno detto. Ma che cosa ne sanno loro di cosa significhi svegliarsi un martedì mattina e non avere più una funzione? Loro, con il loro Internètt e i loro caffè espressi, che cosa ne sanno dell’assumersi le proprie responsabilità? Ove guarda il soffitto. Strizza le palpebre. È importante che il gancio sia bene al centro, decide. […]”

Per ammissione dello stesso autore, lo stile non è che sia eccelso, e purtroppo anche la traduzione a tratti, è a dir poco disordinata. Lo stile però è coinvolgente: passa in uno stesso periodo da un tono serioso così esagerato da indurre il lettore a ridere senza controllo, per attirarlo subito dopo in profonde malinconie.

Pag. 30 “[…] Era ancora lì quando è tornato dall’ispezione. Ove lo ha guardato. Il gatto ha guardato Ove. Ove lo ha minacciato con un dito e gli ha intimato di andarsene con tale impeto che la sua voce è rimbalzata tra le case come una palla da tennis impazzita. Il gatto è rimasto a fissare Ove per qualche altro istante. Poi si è alzato con fare estremamente pomposo, come se volesse sottolineare che non se ne andava perché gliel’aveva ordinato Ove, ma perché aveva di meglio da fare, ed è scomparso dietro l’angolo della rimessa.  […]”

Lui era un uomo in bianco e nero, mentre sua moglie era il colore. Tutto il suo colore.

Ove sosteneva che la gente vuole essere quello che dice, ma era invece convinto che ognuno è quello che fa, come deve essere e nel modo corretto.

Arriva a un punto della sua vita in cui non percepisce più la sua funzione e si sente abbandonato dalla moglie perché deceduta, dal suo ex amico con cui litigò e continuò a litigare per anni. La rabbia alla fine è contro se stessi. Si litiga per mantenere memoria di sé.

Pag. 220 “[…] Forse il dolore per i figli che non erano arrivati avrebbe dovuto riavvicinarli. Ma il dolore è infido: se non viene condiviso, è capace di separare profondamente le persone. Era possibile che Ove non riuscisse a riconciliarsi con Rune perché, dopotutto, Rune un figlio l’aveva avuto, anche se ormai non sapeva quasi dove fosse. E forse Rune non riusciva a far pace con Ove perché quell’invidia sotterranea lo metteva a disagio. Forse, nessuno dei due riusciva a perdonare se stesso per non aver saputo dare alla donna che amava ciò che desiderava davvero. Così, il figlio di Rune e Anita era diventato adulto, tagliando la corda alla prima occasione, e Rune era andato a comprarsi una di quelle BMW sportive, in cui c’è spazio solo per due persone e una borsetta. «Perché ormai siamo solo io e Anita» aveva detto a Sonja un giorno che si erano incontrati nel parcheggio. «Non si può mica guidare Volvo tutta la vita» aveva continuato con un sorriso sghembo, nascondendo le lacrime. Quando Sonja gliel’aveva raccontato, Ove aveva capito che una parte di Rune si era arresa per sempre. Forse era soprattutto per questo che Ove non lo aveva mai perdonato, e che Rune, in fondo, non aveva mai perdonato se stesso. Certa gente credeva che emozioni e automobili non avessero niente in comune. Ma si sbagliava di grosso. […]”

Ove vive in una routine, perché gli eventi traumatici non se ne vanno, e quindi vuole incorporarli e renderli sua realtà. Vi è però una eccedenza indomabile di dolore e di bellezza che trascende il proprio vivere personale. La realtà arriva in faccia senza avvertire con il biglietto da visita del tempo. Sempre limitato e in scadenza.

Pag. 293  “[…] La morte è una cosa curiosa. Viviamo tutta la vita come se non esistesse, ma il più delle volte è una delle ragioni in assoluto più importanti per vivere. Alcuni di noi ne diventano consapevoli così in fretta che vivono più intensamente, più ostinatamente, e in maniera più furiosa. Altri necessitano della sua costante presenza per sentirsi vivi. Altri ancora finiscono per accomodarsi nella sua sala d’attesa molto tempo prima che lei abbia annunciato il suo arrivo. La temiamo, eppure la gran parte di noi teme soprattutto l’eventualità che colpisca qualcun altro, qualcuno a cui vogliamo bene. Perché la più grande paura legata alla morte è che ci passi accanto. Che si prenda chi amiamo. E che ci lasci soli.[…]”

Tutto ciò vale anche per i suoi rumorosi, sgangherati e invasivi vicini che lo coinvolgono negli episodi più assurdi, boicottando indirettamente i suoi goffi tentativi di suicidio.

Una menzione particolare va ai due alter ego di Ove: il gatto Ernesto e il gatto spelacchiato. Le gesta di questi due felini valgono l’immediata lettura del romanzo.

Si piange e si ride per ognuno dei protagonisti.