Tutti gli articoli di Lino

*8 Special Guest: Avamposti del reale

3 giugno 2013 

Difficile riconoscersi nello specchio. Non appaiono solo figure e contorni nei battiti delle ciglia e delle luci. I riti del risveglio secondo le divinità del tempo scandito in misure sessagesimali nel trillo e nella scansione degli schermi di casa, informano di un moto a conduzione lineare e unidirezionale. I processi fisiologici del risveglio ricevono conferma in un vetro che riflette forme di luce, aventi la fede di essere individuate in un corpo.

Qui e ora.

E l'<io> trae coerenza in conformità alle carte di identità e alle chiavi di accesso digitali e meccaniche per accedere a spicchi di mondo che si risvegliano assieme a noi. La preparazione del cibo e delle bevande e i riti di pulizia e vestizione, in perenne mutazione, infondono un sentimento di tranquillità e automaticità nell’esecuzione. Il compiacimento dell’agire ciclico edifica ogni giorno la casa sicura di uno spazio e di un tempo che promette costanza e univocità.

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Alfredo Araujo Santoyo – Immagine presa QUI

Eppure pensiamo ed agiamo con immagini che oltrepassano le movenze e gli scopi del giorno. Saltiamo e giochiamo ogni secondo tra visioni del futuro e continue riprese delle trame del passato.

Istituiamo l’al di là del mondo che ci inquadra in ruoli da offrire agli “altri”, ricercando significati per il futuro che fantastichiamo.

Vestiti davanti allo specchio, proiettiamo avamposti di quello che vorremmo e potremmo essere sui dossi delle fantasie e sulle pianure della immaginazione. E tutto ciò è reale, più reale, perché emerge un senso che orienta e condiziona il nostro agire.

AVAMPOSTI DI ME

Vedute estirpate da fiducie radicate
in tele ripiegate da minuti oscillati,
divaricano moltitudini interrate
in sterpaglie scosse dalle esili orme perdute.

Da sogni mai accaduti, richieste patite
infondono l’altrove e diversi altri passati,
invitando i ricercati ospiti di inverate
speranze, in risacche d’onde decadute.

L’originale e rinnovata vicenda scorge
una curiosa e vitale composizione,
dove ogni possibile evento sopraggiunge.

Sostrati razionali innalzano analogie
infuse e ospitate da interminabili sogni
che reinventano le necessarie magie.

Child in Time. – “Deep Purple”. Per ascoltarlo premere QUI 

*7 Special Guest: Le Donne e il Mare

27 maggio 2013 

Presento un testo da poco uscito dove partecipo con un mio racconto dal quale l’immagine correlata è anche quella della copertina.

“Le Donne e il Mare” è raccolta di racconti di autori del gruppo FB “Libri Stellari”, con illustrazioni a colori di Diego Luci su carta patinata,

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Reperibile QUI

Un’antologia di 23 racconti dedicati all’universo femminile in relazione con il mare, composti da autori più o meno conosciuti i quali hanno accettato la sfida di creare una storia rimanendo nel limite massimo di 1.000 battute.

I racconti abbracciano diversi generi letterari. Si va dai toni drammatici relativi agli amori impossibili, alla violenza sulle donne e a vicende ironiche che suscitano il sorriso; dalla celebrazione del mare e dei sentimenti alla fiaba, alla prosa poetica e ai riferimenti mitologici. Oltre che sulle doti morali si medita talvolta sulla bellezza fisica, accennando alle pulsioni erotiche dei protagonisti.

Le 23 illustrazioni a colori realizzate da Diego Luci, altamente evocative, colgono l’essenza della storia che segue. I capolettera simili a miniature medioevali, offrono un manoscritto fiabesco, emerso come per incanto dagli scaffali di una biblioteca misteriosa.

È disponibile anche in formato ebook su Amazon QUI.

 

@15 PoeticaMente: un mostro nella norma

21 maggio 2013 

Jorge Rafael Videla Redondo (Mercedes, 2 agosto 1925 – Buenos Aires, 17 maggio 2013) è stato un militare argentino, che fu dittatore e presidente de facto del suo paese tra il 1976 e 1981, nonché responsabile di crimini contro l’umanità.
Il suo governo fu contrassegnato dalle violazioni dei diritti umani e da contrasti frontalieri con il Cile che per poco non sfociarono in una guerra. È stato condannato a due ergastoli e 50 anni di carcere per crimini contro l’umanità, tra i quali l’assassinio e la tortura di 30000 persone. Scontò la pena nel carcere Marcos Paz di Buenos Aires, fino alla sua morte.

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Videla. Immagine presa QUI

TU, Videla metti a dura prova la laica pietà per i morti. Troppo facile inscriverti nella categoria dei tiranni o dei dittatori sadici e abietti, o in quella degli esecutori freddi e inumani.

TU, le forze di repressione, gli apparati finanziari e industriali assieme ad elementi del clero e della media alta borghesia (come si diceva decenni fa) avete abilmente intrattenuto rapporti commerciali e politici internazionali per mantenere il potere.

TU e i mezzi di riproduzione culturale ed ideologica avete sfruttato il simulacro della guerra fredda tra Unione Sovietica e Cina contro USA ed Europa, traslando scenari politici nell’America del sud, per il semplice predominio. Infatti hai contribuito ad uccidere comunisti, socialisti, cristiani, libertari, liberisti, atei, agnostici, apolitici, anarchici, e persone che nemmeno sapevano dove fossero le due grandi superpotenze.

Ma non hai soltanto incarcerato, represso ed ucciso. Hai organizzato un efficiente e razionale sistema di soppressione delle persone e della loro rispettiva biografia. Hai rubato i loro figli piccoli e anche quelli che dovevano ancora nascere, aspettando che le madri in carcere partorissero per poi ucciderle, senza che il figlio potesse toccarle. Hai marchiato i nascituri con altre identità e li hai dati in adozione anche alle famiglie dei carcerieri. Beffa nella beffa questo sistema utilizzato anche da regimi dittatoriali del passato nazisti e comunisti come in Cambogia. Questo per sottolineare quanto queste parole siano abusate.

TU non sei stato un capo carismatico o emblema quasi sovrumano del male, come altri prima di te per i quali, in particolare per quell’austriaco, provo fatica a scrivere anche il nome. Anzi addirittura signorile e a modo nelle apparenze. Come al solito le biografie informali vociferano di qualche vizio. Ma in ogni caso il tuo corpo, la tua voce, la tua immagine non è eccezionale. Non si può neanche liquidarti come genio del male e credere che sia stata tutta colpa tua, affinché un popolo possa compiere un rito di sacrificio totemico del leader. Non si può neanche considerarti mediocre, perché intelligente lo sei stato.

Ed è questo il punto: né inumano, né sovrumano, né malato, né genio. E nemmeno semplice impiegato, perché di qualità ne hai mostrate anche dopo la tua deposizione e tarda incarcerazione per tutti questi ultimi trenta anni. Hai continuato, TE, e gli altri assieme a TE, a celare, ad arrecare violenze indirette nel velare la verità e mantenere ancora in sesto gli antichi apparati, seppur in forme diverse.

Ancora oggi la verità è violata. Non hai fornito ammissioni, anzi hai narrato di aver agito secondo necessità ed ordine. Nella norma. E senza mostrare una volgare ostinazione nella menzogna, non hai spiegato, ma coerentemente agito in modo discreto. E ogni tanto incipriandoti con la retorica per il bene del popolo argentino. Già: il popolo argentino!

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Videla – Immagine presa QUI  

TU, Videla, sei un problema per noi italiani, ancora di più che per le altre nazioni, perché alcune strutture ancora oscure nel nostro paese ti hanno aiutato. Ma questo è un elemento minore rispetto al dato di fatto che metà del popolo argentino negli anni ’70 e ’80 era ITALIANO. E tu sei presente anche da morto, perché tutto quello che avevi intorno, è qui in Italia. Noi non abbiamo fatto i conti con la nostra storia, avvolta in un apparente oblio che ci condiziona. Noi qui in Italia siamo schiavi di schemi e parole di decenni fa. TU sei un NOSTRO problema che continua.

TU non sei il male: lo hai accompagnato con discrezione e con sufficienti capacità. Consapevolmente hai arrecato dolore ogni giorno senza fermarti un secondo.

TU, anche da morto continui ad apparire come un rispettabile mostro nella norma.

@14 PoeticaMente: maschi davanti allo specchio

6 maggio 2013  

Sembra banale e noioso ripeterlo. Alcuni di questi omicidi sono già annunciati prima del loro triste compimento e accompagnati successivamente da giustificazioni che imputano la causa a squilibrati o ad emarginati.

E invece l’uomo nero è il parente o l’amico fidato. L’ipocrisia parla di amore e gelosia e traspone il tutto in una incapacità biologica a trattenersi da parte del maschio. Di sicuro è il corpo della donna che continua ad essere violato dopo la morte nelle immagini, nelle procedure giuridiche e nella ricostruzione degli eventi.

E si dice emergenza. Ma non è un fenomeno di oggi questo assassinio con la volontà manifesta di annichilire un essere vivente, ritenuto inferiore come un mero oggetto a disposizione.

Questi tragici eventi sono narrati con sgomento e paralisi, e si concludono con una generica esortazione alla comprensione e al contrasto del “fenomeno”.

I maschi rifiutano la questione e la rivoltano verso le vittime: si eclissano.

Ora, senza richiamare buon senso, onestà intellettuale, principi fondamentali di etica e del diritto, è sufficiente per i maschi ascoltare il proprio corpo.

Pensiamoci, maschi latitanti, riversi a terra, svestiti, con sangue e urina e faccia macilenta davanti a tutti, magari vicini di casa che si grattano la testa, il sedere e il naso e si scambiano frasi fatte nel guardarci per terra, con l’immancabile idiota che si colloca vicino alla telecamere di qualche giornalista. Pensate solo fisicamente al freddo, alla puzza nel vostro corpo. Solo questo.

E ovviamente tutti guardano con morbosità la vittima (per strada, nei giornali, nella tv) senza pensare all’omicida. Dove è l’assassino? È il marito? Il padre? Il fratello? La vittima davanti al pubblico senza compassione.

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Jakub Schikaneder, “Omicidio in casa”
– Immagine presa QUI

Perché la sicurezza non è ovunque: acqua, sole sfumato, spiaggia e mare, sono già un pericolo. E questa è la bugia: colei che genera vita è offesa dal complemento di generazione maschile che si crede principio unico e indefettibile.

Si è soli: pensate maschi a chiedere invano aiuto a parenti, amici e alle autorità giudiziarie. Immaginate di camminare per le strade e vedere tutti felici o irritati per i problemi di ogni giorno e sentirvi marchiati e passibili di essere presi e maciullati in ogni momento davanti a sguardi indifferenti. Sentitelo nello stomaco questo orrore. Sentitela nelle vene la consapevolezza di essere massacrati a breve, dove anche il pianto verrà punito.

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Jakub Schikaneder – Immagine presa QUI

Vi prudono le mani? Sentite la rabbia dentro che cresce vero? Ecco moltiplicate questa sensazione per mille dentro lo stomaco, sapendo di non poter fare nulla e che tutto questo vi esploderà dentro. Rimanendo come tronchi martoriati senza memoria in una spiaggia sporca e desolata. 

L’ombrello rosso con tratti così delineati, rispetto alle forme quasi liquefatte, raccoglie il calore del cuore e dell’animo e lo riflette verso l’ambiente circostante. Questa pioggia non ristora: affligge lentamente nella normalità come una inevitabile costrizione. Il corpo della donna e il suo cammino sono imposti da piogge che tagliano e non leniscono, come lacrime di acido. In un Sole finto e oscurato di prescrizioni culturali e di potere, spacciate come naturali ed eterne.

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Andre Kohn – Immagine presa QUI

Cari maschi pensiamo alla normalità di ogni giorno, fatta di grigio e oppressione, come il semplice camminare e il vestito imposto. Basta pensare solo a questo.  

#16 Contaminazioni: appuntamenti rubati

29 aprile 2013 

L’infanzia, la giovinezza e l’età adulta sono contraddistinte da riti e condivisioni con i pari che permeano e consolidano noi stessi e il passato che vive assieme a noi. Confidiamo che avvengano in modo analogo a quelli di poco più avanti di noi, accompagnando sicurezze e certe promesse per l’avvenire.

Non sempre è così per i popoli delle Terra, e per i singoli individui.

Coloro che promettono, possono mentire su momenti della nostra vita e condurci in vie beffarde e crudeli senza uscita, come se fossero appuntamenti rubati. Rispetto alle aspirazioni di ogni giorno, l’insoddisfazione è vincente. Se si basa l’avvenire e l’immagine del proprio vissuto in virtù di ciò che da soli si è promessi, il risultato sarà sempre limitato. Nonostante tutto non si può affermare in modo incontrovertibile di accontentarsi, perché l’ambiente e gli uomini possono arrecare comunque un danno.

Si soccombe, nonostante che l’amor proprio cerchi di reggersi con le dita sul dirupo calante nell’abisso dell’animo senza speranza. Un aiuto per continuare a immaginare nuove vite, può essere fornito dall’esempio di coloro che, anche vivendo agli antipodi, attraverso le debolezze e le sconfitte, sono riusciti a sopravvivere e infine a vivere.

Ko Un, Kunsan, 1 agosto 1933, è un poeta, scrittore, saggista, autore teatrale e pittore sudcoreano, tra le figure più rappresentative della Corea del Sud contemporanea.

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KO UN – Immagine presa QUI 

Costretto a imparare il Giapponese durante la dominazione dell’impero nipponico, e poi la lingua Cinese. Coltiva comunque l’apprendimento del Coreano. Quando nel 1950 scoppia la guerra, sconvolto per l’orrore tenta il suicidio. Si salva e si rifugia nel Buddismo, e tra elemosine e insegnamenti gratuiti di coreano e arte, scrive saggi e poesie. Nel 1962 abbandona il buddismo, deluso dalla corruzione del clero. Legge autori esteri, continua a scrivere, alternando periodi di prostrazione che lo portano per due volte a tentare il suicidio.

Ma all’inizio degli anni 70 riprende fiducia. Si occupa dei diritti umani e diventa un attivista contro la dittatura coreana e per questo fu imprigionato più volte e condannato all’ergastolo nel 1979, anche e principalmente per la sua attività letteraria e politica.

Nel 1982 ottiene l’amnistia. Si innamora e si sposa. Inizia una nuova fase di produzione artistica pubblicando numerose opere, spaziando in diversi stili, ricevendo premi di ogni tipo e ripetute candidature al premio Nobel. La poesia, tra saggi, opere teatrali, traduzioni, ha caratterizzato il suo sotterraneo percorso di caduta e rinascita.

Da “Fiori di un istante” di KO UN

L’animo di un poeta

Un poeta nasce negli spazi tra crimini,
furti, uccisioni, frodi, violenze,
nelle zone più oscure di questo mondo.

Le parole d’un poeta s’insinuano tra le
espressioni più volgari e basse,
nei quartieri più poveri della città,
e per qualche tempo dominano la società.

L’animo d’un poeta rivela il solitario grido di verità
che emana dagli spazi fra mali e bugie del suo tempo,
è un animo picchiato a morte da tutti gli altri.

L’animo d’un poeta è condannato, non v’è dubbio.

—-

E io ascolto e rispondo a te Ko Un .

Risposte dovute. – Lino Milita

Testimonianze del dolore patito,
richieste sono d’attenzione
per orecchie pigre d’orrore subito.

L’animo d’un poeta è obbligato a chiedere ascolto,
e se lo riceve, rivela interstizi di luce
tra muri senza riflesso, da nessuno raccolto.

E quindi ogni verso nel tempo frantumato,
riecheggia nelle flebili onde del vento ribelle
per rinascere dal dolore riesumato.

@13 PoeticaMente: Nati dal Vento

22 aprile 2013 

Talvolta ci lamentiamo dei venti e li consideriamo opprimenti e fastidiosi nel gelare il collo, oppure caldi e gradevoli nell’accarezzare le guance. Se poi riversano scrosci d’acqua, restituiamo contraccolpi di maledizioni ataviche.

Fenomeni scontati e quasi ovvi quelli accompagnati dall’aria in movimento. Il vento passa e offre analogie con ciò che è destinato a sparire. È di casa affermare l’analogia tra la parola e il vento. Noi siamo solidi, con i piedi nella salda terra. L’orizzonte è il riferimento che offre e indica il passaggio del Sole e della Luna, e la forma dei luoghi dove noi stessi transitiamo.

In Italia dipendiamo dai venti di luoghi lontani. L’avvicendarsi del caldo e del freddo, puntellato dai cicli stagionali, varia e assume connotati diversi ogni anno per i venti che vengono dalle Azzorre e dal Sahara.

L’anticiclone delle Azzorre e l’alta pressione africana giocano continuamente tra loro. Secco uno, umido l’altro. Appaiono in modo esclusivo, oppure accoppiati.

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immagine presa QUI 

Noi che disprezziamo l’aria e il veder le nuvole, dipendiamo da loro. Eppure una loro variazione o capriccio condiziona il nostro modo di vivere, con la pioggia o la siccità, o con l’umidità. Ritardano l’avvento della primavera, anticipano l’estate. Si attardano con l’autunno. Le nostre scelte di vita, dall’uscire o no, dall’idea del freddo e del caldo, del nostro umore, dipende dalle imprevedibili loro incessanti evoluzioni.

I venti freddi dell’est come il Burjan sono costanti, precisi, diretti come un treno, però abitano nella casa dell’inverno. E noi qui in Italia abbiamo percezioni diverse. Nel Tirreno gli Appenini frenano i venti dell’est e del freddo polare. Nella pianura padana l’anticiclone delle Azzorre e l’alta pressione africana, come in Sicilia e in Sardegna, si attardano e regalano cascate di umidità. Nella parte ionica questi due buontemponi bisticciano con i soffioni del Medio oriente, oscillando tra siccità o gelo come se ogni volta per noi fosse la prima.

Le stesse glaciazioni hanno avuto gioco facile quando i venti delle Azzorre si sono impigriti nell’Atlantico e l’alta pressione africana, timida, è rimasta nel Sahara. Ne traiamo i frutti e le spine, talvolta lo combattiamo. Ma è un incontro truccato. Noi siamo anche fatti di vento, dentro il cuore e nell’emissione della voce, e nel gioco tra timpano e tromba d’Eustachio.

E di tutti i dispiaceri e dolori, sentire il vento che accarezza o spintona i rami, o che viaggia e appare tra i vicoli e i muri delle case, ci informa del tempo, del nostro corpo che da lui è formato, e ci conduce nei luoghi ancora nascosti al nostro sguardo.

Ci nutriamo di vento, siamo nel vento. Perché lui è un indicatore del divenire e del tempo. Noi, uomini fatti di acqua e di polvere, nasciamo con il vento.

Di Rainer Maria Rilke


Il risveglio del vento

Nel colmo della notte, a volte, accade
che si risvegli, come un bimbo, il vento.
Solo, pian piano, vien per il sentiero,
penetra nel villaggio addormentato.

Striscia, guardingo, sino alla fontana;
poi si sofferma, tacito, in ascolto.
Pallide stan tutte le case, intorno;
tutte le querce mute.

La poesia è presa QUI

E il vento è sempre bambino, nasce ogni volta. Poco educato all’inizio. Vuole sempre giocare. Selvatico, irriverente, dispettoso, tremendo ogni tanto, ma porta sempre innumerevoli doni da una parte all’altra del globo.

Per ascoltare “Nella Pietra e nel Vento” di Aldo Tagliapietra premere QUI

#15 Contaminazioni: La corsa di Miguel

17 aprile 2013 

La corsa evoca movimenti primordiali di ogni essere umano….

Ma è un abbaglio! Fino a 150 anni prima dell’uso delle materie plastiche nelle scarpe, la corsa era intervallata con i passi, anche a piedi nudi. La concezione stessa della destinazione era intesa come una linea percorsa da una freccia scagliata verso un obiettivo definito. Ma non così immediato era il calcolo e le modalità del percorso.

La corsa come metodo ed espressione di vita e di una concezione rispetto al mondo è recente: non si corre ora per abbattere, uccidere, fuggire, razziare, giungere in un posto sicuro, portare al termine un ufficio inevitabile. Oggi si corre per esprimere nuove concezioni del corpo ed affermare la libertà in armonia con tutto ciò che si incontra. Le gare di podismo non sono marce che calpestano e battono i piedi.

Corre bene chi sfiora il terreno. Si gode nel sorriso della gara assieme agli altri. La Maratona è l’espressione massima della libertà e dell’uguaglianza in un solo gesto: dei primi che vincono la medaglia e degli altri che arrivano dopo, tutti assieme. Libertà di correre nella terra sicura di ogni paese, che è di tutti. 

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Miguel Sànchez immagine presa QUI

Miguel Benancio Sanchez nacque l’8 novembre del 1952,
 a Bella Vista, provincia di Tucuman, Nord 
dell’Argentina. Amava la vita, l’atletica, l’Argentina.
 Di mattina, all’alba, andava a correre. Treno, lavoro, ancora 
allenamento, scuola serale per completare quegli studi 
che non aveva finito. Era un poeta autodidatta. Il suo “Para vos 
atleta”, “Per te atleta”, fu pubblicato dalla Gazeta
 Esportiva di San Paolo, il 31 dicembre del 1977,

Per te che sai di freddo
e di calore 
di trionfi e di sconfitte
che sconfitte non sono.

Per te che hai corpo sano,
anima vasta e grande cuore.

Per te che hai molti amici 
e molti aneliti,
l’allegria adulta, 
e il sorriso del bambino.

Per te che non sai di gelo né di sole,
né di pioggia né di rancori.

Per te, atleta
 che traversasti paesi e città
unendo Stati nel tuo andare.

Per te, atleta, che disprezzi la guerra
e sogni la pace.

Amava la vita, il popolo argentino, la corsa, la libertà e la poesia. Troppo pericoloso per i dittatori argentini. Lo prelevarono nella notte fra
 l’8 e il 9 gennaio 1978.

@12 PoeticaMente: Panoramiche contemplazioni

15 aprile 2014 

Esiste una giovinezza immaginata e collocata in un tempo, forse mai accaduto, dove il cammino, e la stasi su un gradino di casa, o in una panchina nella strada, o di un locale all’aperto, era più di un semplice stare o riposare.

Vi era l’eccitazione di incontrare amici e persone care, dopo un giorno di lavoro o di minimi impegni formali. Camminare a zonzo, indugiare in circuiti appena percorsi nel parlare o nell’osservare i passanti, era già una risposta momentanea alle domande inespresse dei sonni della notte e delle albe tormentate. Sia nel clima umido, ma di più per le giornate miti con il Sole infastidito dai pizzichi delle nuvole, spinte da venti dispettosi, si sorrideva appena usciti dagli spazi murati della mente e del corpo.

Gli eventi del passato anche se così non sono accaduti, però comparendo nel presente, si trovano a loro agio. Si vestono di un’armonia assonante tra le sensazioni del proprio corpo rilassandosi nel compiere azioni primordiali e con le emozioni che invocano una visione panoramica dello spazio circostante.

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Jean Béraud, Avenue Parisienne

Le contemplazioni offrono attimi d’esser lieti con la sensazione fisica di stare semplicemente senza chiedere il perché e senza concentrarsi sul come. La sensazione di respirare sorridendo nell’osservare i posti familiari e sempre omessi nelle faccende di perseguimento di scopi ben delineati, offre una appagante visione estetica che si tramuta in un immediato benessere fisico.

Questa sensazione ritenuta normale quando appare, e sempre perseguita nei luoghi dell’isolamento e negli spazi dell’angoscia, è l’espressione della contemplazione di essere distinti ma in assonanza con ciò che ci accompagna nel divenire di tutte le cose.

Compagnie

Siedo assolato
d’ombra coperta
con bevanda
d’oro colato
dalla fonte infinita.

Assenti freddure
congedano arie
granulate da
ipocrite pretese
di compagnie
inutilmente contese.

Contemplo pieno
di buona indole
ogni orma accaldata,
che sfiora nell’ombra,
piani lasciti
riflessi da schegge
della mia armonia.

Per ascoltare Buena Vista Social Club— “Chan Chan” Premi QUI

*6 Special Guest: Corali allegorie

10 aprile 2013  

Il quadro di Jan Vermeer (Delft, 31 ottobre 1632 – Delft, 15 dicembre 1675) . Allegoria della pittura, offre molteplici piani nell’interpretare l’arte e la tecnica della pittura, oltre all’oggetto rappresentato. È una relazione che da millenni attraverso i mutanti supporti tecnologici, noi da sempre utilizziamo. Dalla caverna, al totem, alla televisione, al telefonino, al cartellone pubblicitario. È quasi naturale guardare e contemplare. Certamente il pittore compie un passo innanzi di ideazione e creazione.

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Il quadro mostra una concezione dell’uomo moderno consapevole di essere un soggetto autonomo di azione e giudizio, rispetto ad un ambiente esterno pronto ad essere evocato e immaginato, attraverso il gioco di luce e ombra.

Essendo una allegoria, ogni elemento raffigurato, invita un rimando ad una concezione del mondo, al ruolo dell’artista e di colui che osserva. Che allegorie vorreste?

Chi o cosa vorreste essere nel quadro? Oppure che vorreste fare? 

 

#14 Contaminazioni: Una risposta dell’Oriente

3 aprile 2014 

Da sempre il mondo visto come uomo e natura ha avuto denominazioni razionali con l’avvento del linguaggio. Però circa 2500 anni fa in Grecia, un modo di pensare oggi predominante e ora diffuso in ogni lingua, affermò l’Occidente. E immediatamente apparve anche l’Oriente, sebbene quest’ultimo non sapeva di esserlo.

Certamente l’Occidente nell’anticipare e prevedere il decorso degli eventi sulla terra disponibile è oggi considerato il più efficace e coerente modo di apparire. Talvolta però i problemi scaturiscono nel considerare l’Oriente, come l’India ad esempio, un residuo del nostro agire e sapere. Come se le terre dove sorge il Sole abbiano già detto tutto.

La poesia è produzione. Cosa rispondono le poesie dell’Oriente alle tecniche produttive delle emozioni e dei sensi proprie dell’Occidente?

Una delle tante risposte proviene da Rabindranath Tagore, nato nel 1861 e morto nel 1941, poeta premiato con il Nobel nel 1913, musicista compositore, pittore, educatore e filosofo indiano, protagonista primario insieme al Mahatma Gandhi, anche di movimenti religiosi e politico-sociali. Il quale utilizza comunque gli strumenti dell’Occidente ma tenta un linguaggio poetico che dal Buddismo toglie l’idea di una natura separata dal divino nirvana e che renda contraddittoria l’immagine occidentale della storia come lotta per la vita biologica.

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Rabindranath Tagore immagine presa QUI

 

Da i Gitanjali

Il mio canto ha deposto ogni artificio.
Non sfoggia splendide vesti
né ornamenti fastosi:
non farebbero che separarci
l’uno dall’altro, e il loro clamore
coprirebbe quello che sussurri.

La mia vanità di poeta
alla tua vista muore di vergogna.
O sommo poeta,
mi sono seduto ai tuoi piedi.
Voglio rendere semplice e schietta
tutta la mia vita,
come un flauto di canna
che tu possa riempire di musica.

Dove qui la canna vuota non è quella occidentale che, flebile corre il rischio di essere estirpata, o come la poesia “Ginestra” di Giacomo Leopardi che resiste e sempre in lotta contro l’oblio.

Qui la canna è già piena: acquista nuove forme e sostanze sonore.