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§CONSIGLI DI LETTURA: Destinazione stelle

Destinazione stelle o La tigre della notte (titolo originale The Stars My Destination o Tiger! Tiger!) è un romanzo di fantascienza del 1956 di Alfred Bester (New York, 18 dicembre 1913 – Doylestown, 30 settembre 1987), versione in italiano del 2014 – Oscar Mondadori, Milano, traduzione di Vittorio Curtoni.

Questo libro fu un successo editoriale e mantiene, ancora oggi, una freschezza di stile e di ritmo narrativo, nell’alternare idiomi gergali, neolinguismi, e schermaglie diplomatiche tra i protagonisti. Alfred Bester, uno scrittore di tutto rispetto nei romanzi e nei racconti, ha approfondito le nozioni di chimica e di astronomia, innestandole entro temi fantascientifici lungo il corso della narrazione.

Le vicende dei protagonisti sono usate nell’evocare il pericolo di disequilibrio per l’intero pianeta nel caso di una supremazia militare di un unico apparato di potere, e non a caso risaltano riferimenti velati alla “Guerra Fredda” di quegli anni.. Vi è anche una dialettica tra una posizione iper individualistica, nell’uso dello <<jaunto>>, il salto spaziale tra un luogo della terra e in un altro, che cerca di essere controllato dalle autorità per non generare la disgregazione dei legami sociali e affettivi tra le persone.

“[…] “Abbiamo stabilito che la capacità del teletrasporto è collegata coi corpi di Nissl, o Sostanza Tigroide delle cellule nervose. La presenza della Sostanza Tigroide è facilmente dimostrabile col metodo di Nissl, usando 3,75 gr di blu di metilene e 1,75 gr di sapone di Venezia disciolti in 1000 cc d’acqua. “Se la Sostanza Tigroide non appare, il jaunto è impossibile. Il teletrasporto è una Funzione Tigroide.” (Applausi). Chiunque era capace di jauntare, purché sviluppasse due facoltà: visualizzazione e concentrazione. Occorreva visualizzare, in maniera completa e precisa, il punto d’arrivo; e occorreva concentrare l’energia latente della mente in un unico flusso, per poter arrivare. Soprattutto, era necessario avere fede… la fede che Charles Fort Jaunte non ritrovò mai. Bisognava credere di poter jauntare. Il minimo dubbio avrebbe bloccato la spinta mentale necessaria per il teletrasporto.

 […]”

L’assenza di una collaborazione tra gli individui, comporta le attività di sciacallaggio e quindi la fame per tutti. Dall’altro lato, la sovra determinazione di ogni aspetto del vivere di ognuno, in base alla sua capacità di spostamento, innesta logiche di potere che oltrepassano i conflitti del pianeta terra, per arrivare a quelli dei satelliti esterni del sistema solare.

Quando tutto si vuole controllare, ecco che nel residuo di ciò che è considerato uno scarto, avviene l’anomalia.

“[…] Gully Foyle io son ognora e Terra è la mia nazione. Lo spazio profondo è mia dimora e la morte è la mia destinazione. Era Gulliver Foyle, meccanico di terza classe, trent’anni, ossatura robusta, fisico coriaceo… alla deriva nello spazio da centosettanta giorni. Era Gully Foyle, oliatore, ripulitore, manovale; troppo placido per i guai, troppo lento per il divertimento, troppo vuoto per l’amicizia, troppo pigro per l’amore. I tratti letargici del suo carattere spiccavano persino nei registri ufficiali della Marina mercantile:

FOYLE, GULLIVER – AS-128/127: 006 CULTURA: Nessuna CAPACITÀ: Nessuna MERITI: Nessuno RACCOMANDAZIONI: Nessuna (NOTE PERSONALI) Uomo dotato di forza fisica e di un potenziale intellettuale bloccato dalla mancanza di ambizioni. Minimo spreco di energie. Lo stereotipo dell’uomo comune. Forse uno shock inatteso potrebbe risvegliarlo, ma il reparto Psicologia non riesce a trovare la chiave d’accesso. Non raccomandato per ulteriori promozioni. Foyle è finito in un vicolo cieco. Era finito in un vicolo cieco. Si era accontentato di veleggiare da un momento all’altro dell’esistenza per trent’anni, come una creatura dalla pesante corazza, flaccido e indifferente… Gully Foyle, lo stereotipo dell’uomo comune; […]”

“[…] Così, in cinque secondi, Foyle nacque, visse, e morì. Dopo trent’anni di esistenza e sei mesi di torture, Gully Foyle, lo stereotipo dell’uomo comune, non esisteva più. La chiave girò nella serratura della sua anima e la porta si aprì. Ciò che emerse cancellò per sempre l’uomo comune. «Mi hai lasciato qui» disse Foyle, con un’ira che cresceva lentamente. «Mi hai lasciato a marcire come un cane. Mi hai lasciato a morire, Vorga… Vorga-T:1339. No. Me ne andrò di qui, io. Ti seguirò, Vorga. Ti troverò, Vorga. Te la farò pagare. Ti farò marcire. Ti ucciderò, Vorga. Ti stenderò secca.» L’acido dell’ira si diffuse nel suo corpo, divorando la pazienza bruta e l’indolenza che avevano fatto di Gully Foyle uno zero, dando il via a una reazione a catena che lo avrebbe trasformato in una macchina infernale. Adesso, Gully Foyle aveva una missione. «Vorga, ti stenderò secca.» […]” 

L’istinto di sopravvivenza e la volontà di vivere, quando si innestano consapevolmente nel proprio io, causano l’esigenza di una mutazione.

Il ritmo del libro è avvincente. I colpi di scena seguono un percorso logico coerente tra le vicende astro politiche e i viaggi interiori di ognuno.

“[…] «E più o meno non sai fare altro… il che significa che mi sarai inutile, al di là della forza bruta.» «Non dire fesserie, ehi» ribatté lui, rabbioso. «Non le sto dicendo, io. A cosa serve lo scalpello più robusto del mondo se non ha una punta affilata? Dobbiamo affilare il tuo cervello, Gully. Devo educarti, uomo, tutto qui.» Lui si arrese. Capì che Jisbella aveva ragione. Doveva prepararsi, migliorarsi, non solo per fuggire da lì, ma anche per sistemare la Vorga. Jisbella era figlia di un architetto e aveva ricevuto un’istruzione di prima qualità. La inoculò a Foyle, insaporendola con la cinica esperienza di cinque anni nel mondo della criminalità. Ogni tanto, lui si ribellava a quel lavoro duro, e scoppiavano litigi sussurrati, ma alla fine lui chiedeva scusa e ricominciava. […]”

“[…] «Hai detto che ti piacerebbe potermi portare in tasca, così potrei pungolarti quando perdi il controllo. Hai qualcosa di migliore, Gully, o di peggiore, povero amore mio. Hai la tua faccia.» «No!» disse lui. «No!» «Non potrai mai perdere il controllo, Gully. Non riuscirai mai a bere troppo, mangiare troppo, amare troppo, odiare troppo… Dovrai tenerti sempre in una morsa ferrea.» «No!» insistette lui, disperato. «Si può trovare un rimedio. Può farlo Baker, o qualcun altro. Non posso andarmene in giro con la paura di provare qualche emozione perché mi trasformerei in un mostro!» «Non credo possa esistere un rimedio, Gully.» […]

Le protagoniste femminili hanno la novità, rispetto a romanzi di fantascienza del periodo, di assumere il ruolo di trasformare le personalità dei protagonisti, con poteri autonomi rispetto ai maschi. Non assumono il ruolo di contorno, sebbene ogni tanto lo scrittore indulge in stereotipi “romantici”.

Donne e uomini perseguono la vendetta e il potere.

“[…] «E tu non scappi mai?» «Mai. Le fughe sono per gli storpi mentali. Per i nevrotici.» «I nevrotici. La parola preferita di chi si è rifatto una cultura. Tu sei così colto, vero? Così calmo. Così equilibrato. È tutta la vita che stai scappando.» «Io? Mai. È tutta la vita che caccio.» «Scappi. Hai mai sentito parlare della fuga d’attacco? Fuggire dalla realtà attaccandola, negandola, distruggendola? Ecco cosa hai fatto.» «Fuga d’attacco?» Foyle sussultò. «Vuoi dire che sono fuggito da qualcosa?» «È ovvio.» «Da cosa?» «Dalla realtà. Non puoi accettare la vita com’è. La rifiuti. La attacchi, cerchi di farla entrare a forza nei tuoi schemi. Attacchi e distruggi tutto ciò che ostacola il tuo folle schema mentale.» Robin alzò il viso solcato dalle lacrime. «Non lo sopporto più. Voglio che tu mi lasci libera.» […]”

“[…] Dagenham sorrise. «Sì. Per quanto possiamo difenderci dall’esterno, restiamo sempre fregati da qualcosa che viene dall’interno. Non ci si può difendere da un tradimento, e tutti noi ci tradiamo di continuo.» […]”

Ci si sente trasportati in questo libro, anche fisicamente nelle emozioni che avvertono i protagonisti, in particolare della vendetta. La frustrazione. La vendetta che non può mai essere compiuta, risarcita. Se la si vuole integralmente, essa deve consumare anche il vendicatore. Poiché l’assoluto soddisfacimento esige che il vendicatore sia tutto all’interno di tale atto di volizione, e che il destinatario che muove la vendetta, sia entro in essa, allora il processo di riequilibrio esige che la sua fine, cioè il suo scioglimento, annulli il ruolo e del vendicatore e del destinatario. E se è integrale, integralmente devono finire entrambi.

E vi sono passi in cui si arrivano anche a visioni poetiche.

“[…] Il colore, per lui, era dolore; caldo, freddo, pressione; sensazioni di altezze insopportabili e profondissimi abissi, di tremende accelerazioni e compressioni che schiacciavano il corpo: IL ROSSO LO ABBANDONÒ VELOCE. LA LUCE VERDE ATTACCÒ. L’INDACO ONDEGGIAVA CON NAUSEANTE VELOCITÀ, COME UN SERPENTE SCOSSO DAI BRIVIDI.

Per lui, il tatto era gusto: la sensazione del legno era acida e gessosa nella sua bocca, il metallo era sale, la pietra era agrodolce sotto le sue dita, e il vetro gli intorpidiva il palato come pasticcini troppo ricchi. L’odorato era il tatto: la pietra calda era velluto che gli carezzava le guance. Fumo e cenere erano una stoffa ruvida che gli grattava la pelle, quasi la stessa sensazione prodotta dalla tela bagnata. Il metallo fuso aveva l’odore di colpi che gli martellavano il cuore, e la ionizzazione scatenata dall’esplosione del PyrE aveva riempito l’aria di ozono, e l’ozono era acqua che scorreva fra le sue dita. Non era cieco, né sordo, né privo di sensazioni. Percepiva sensazioni, ma filtrate da un sistema nervoso stravolto e mandato in corto circuito dallo shock dell’esplosione. Soffriva di sinestesia, quel raro stato in cui la percezione riceve messaggi dal mondo esterno e li riferisce al cervello, però nel cervello le percezioni sensoriali vengono confuse tra loro. […]”

Di più non si può approfondire, almeno a questo livello, perché vi sono colpi di scena che mantengono alta la tensione nella lettura. È un libro che ha la capacità di trasformarci in adolescenti nudi verso le nostre sensazioni più forti, lasciate di solito nello sfondo del nostro intimo, che però sono sempre lì.. in attesa.